L’obiettivo della gita odierna era quello di salire sulla cima dell’Osternig, ma le forti raffiche di vento che soffiavano a sella Bistrizza ci hanno fatto cambiare idea. Una volta raggiunto il villaggio alpino (Feistrizer Alm) abbiamo fatto visita alla cappella della Madonna della Neve e siamo rientrati all’auto per il medesimo percorso. La giornata si presenta limpida e non troppo fredda, la neve ancora scarseggia sulle Alpi ed è presente solo nelle zone dove non batte il sole. Dal parcheggio situato nella zona dove sorgeva il vecchio Rifugio Nordio-Deffar (1210 m.), ci incamminiamo lungo la strada forestale che costeggia il rio Uqua e dopo alcuni ripidi tornanti deviamo a sinistra per imboccare il sentiero CAI 507 che permette di accorciare il tempo di salita. Il sentiero sale nel bosco di abeti alternando tratti ripidi e sconnessi a tratti più scorrevoli fino a che non si ricongiunge con la strada forestale nei pressi di una cascata del rio Uqua. Ripresa la strada, in pochi minuti siamo al rifugio Nordio; la strada in alcuni punti è ghiacciata e dobbiamo fare un po’ di attenzione, il rifugio è aperto e decidiamo di fare un beve pausa caffè. Appena dietro il rifugio, a quota 1410 metri, ritroviamo il sentiero (CAI 507) che attraversa nuovamente il Rio Uqua su di un ponticello e sale a tornanti in un bosco rado di abete rosso. Il sentiero in alcuni punti è ghiacciato, ma prestando attenzione è possibile camminare su neve non ghiacciata che fornisce un buon grip, calzare i ramponi a 12 punte sarebbe davvero eccessivo. Man mano che saliamo il bosco si fa più fitto e la pendenza del sentiero cala, ora al suolo non c’è più ghiaccio e possiamo salire più spediti; alcune forti raffiche di vento iniziano a scuotere le cime e a far scricchiolare i tronchi. Dopo poco più di mezz’ora di cammino dal rifugio, il bosco improvvisamente si fa più rado fino a scomparire quando si incontra l'ampio e bellissimo pascolo di malga Bistrizza (1718 m.). Una volta fuori dal bosco veniamo colpiti da forti raffiche di vento freddo, raggiungiamo quindi rapidamente il villaggio austriaco di Feistrizer Alm (1700 m.) per trovare un po’ di riparo e decidere cosa fare. Da quando abbiamo abbandonato il bosco la quantità di neve è aumentata, nelle zone dove non batte il sole ci sono parecchi centimetri ma la copertura non è omogenea. Dopo una rapida consultazione decidiamo di rinunciare alla cima e attraverso una vecchia mulattiera di guerra, ci incamminiamo verso la cappella della Madonna della Neve (1750 m.), bellissima chiesetta edificata nel 1911 da un carinziano di Festritz a.d. Gail. In dieci minuti raggiungiamo l'edificio, dal quale si può ammirare uno splendido panorama sui monti delle Alpi Giulie, della catena della Caravanche e sulla valle del Gail. Qui il vento è meno forte e al sole non fa troppo freddo, decidiamo quindi di fare una breve pausa e mangiare uno spuntino. Consultando la carta noto che è possibile chiudere un anello passando per sella Pleccia, ma non conoscendo il sentiero e vista la presenza di ghiaccio sui versanti a nord decidiamo di ritornare a valle per la strada dell’andata. Affrontiamo di nuovo le raffiche di vento da sella Bistrizza fino all’interno del bosco, scendiamo cauti nei tratti ghiacciati e siamo di nuovo al rifugio Nordio; non ci resta che percorrere la strada e l’ultimo tratto di sentiero fino al parcheggio.
Resoconto: Facile itinerario percorribile anche con le ciaspole in caso di buon innevamento. Il giro può essere allungato con la salita al monte Osternig, dalla Sella Bistrizza in prossimità del villaggio alpino (Feistrizer Alm) si può prende il sentiero CAI 481 che permette di raggiungere la cima in un'ora. Dalla chiesetta si può chiudere un percorso ad anello per tornare al parcheggio, transitando per forcella Pleccia proseguendo sul sentiero CAI 507. Per raggiungere il punto di partenza, da Ugovizza si imbocca la rotabile che risale il vallone omonimo, si percorre tutta la strada per arrivare al parcheggio dove termina il tratto consentito agli automezzi.
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L’inverno per ora mite e le scarse nevicate, fanno sì che a fine dicembre sia possibile raggiungere la quasi totalità delle cime della catena carnica. La meta prefissata sarà il Cimone di Crasulina, che raggiungeremo dal versante di Cleulis, risalendo il vallone che porta a forca di Tierz. Risaliamo in auto la stretta strada che porta a Malga Lavareit fino all’ultimo tornante prima che la strada diventi sterrata (1.270 mt). Lasciata l’auto nello spiazzo adiacente al tornante ci incamminiamo sulla strada forestale che sale alla malga, tratti brinati si alternano a tratti sterrati fino a che giungiamo al bivio con il sentiero CAI 155, proveniente da Stavoli Frochies e che prosegue verso casera Monte Tierz bassa. Al bivio deviamo a sinistra seguendo il sentiero, superiamo alcuni schianti e in breve siamo fuori dal bosco. Camminiamo ora in un pascolo e in pochi minuti raggiungiamo la casera Monte Tierz bassa (1.530 mt), dove si apre uno splendido panorama sulla Creta di Timau e i monti lì intorno. Alcuni caprioli solcano rapidamente i pascoli per rifugiarsi nel bosco mentre continuiamo la nostra salita verso forca di Tierz. Il sentiero taglia il versante meridionale del monte Terzo lungo quella che sembra una vecchia mulattiera e ci porta fino a casera Monte Tierz bassa (1.670 mt); camminiamo ora in ombra e il quantitativo di neve presente al suolo inizia a rendere più faticosa la camminata. Il quantitativo di neve fresca nel vallone è decisamente discreto, la salita alla forcella risulta faticosa; in alcuni casi si sprofonda quasi fino al ginocchio. Giunti alla forcella (1.880 mt) si apre davanti a noi una splendida visuale verso la dorsale del monte Floriz e il gruppo del Coglians, al bivio giriamo a sinistra seguendo il CAI 175 che con un traverso taglia il versante nord del Cimone sbucando nei pressi dei laghetti di Zoufplan. Nonostante la neve, la traccia del sentiero è ben intuibile e senza troppi problemi giungiamo rapidamente a scollinare a quota 1.966 metri. Giunti sulla strada, che parte da Pian delle Streghe, non ci resta che seguirla fino all’imbocco della traccia che porta sulla sommità del Cimone di Crasulina (2.104 mt). I laghetti sono completamente ghiacciati ma la copertura nevosa dei versanti a sud è davvero misera, in lontananza la pianura è completamente avvolta da un mare di nubi, davvero uno spettacolo. In circa un quarto d’ora siamo sulla cima dove la nostra vista può spaziare dalle Alpi Giulie fino alle Dolomiti. Dopo numerose foto ed un veloce spuntino, decidiamo di ritornare all’auto passando per malga Lavareit, aggirando quindi il monte Terzo. Rientrati a forcella di Tierz per lo stesso percorso, iniziamo la discesa verso casera Chiaula andando a “naso” nella neve fresca. Perdiamo rapidamente quota, superiamo una macchia di ontani e continuiamo a scendere finché non ritroviamo i segnavia. Ripreso il sentiero giungiamo nei pressi di un edificio chiuso (1.560 mt) dal quale parte una strada, è quella che porta a malga Lavareit. La strada ci costringe ad una breve risalita che permette di portarci sul versante nord del monte Terzo; la vista ora si apre sul passo di Monte Croce Carnico. Il panorama è davvero imponente, si può spaziare dalla Creta di Timau fino al gruppo Coglians – Chianevate, dominando l’intera parte dell’alta valle del But. In breve giungiamo a malga Lavareit (1.470 mt) e proseguiamo lungo la carrareccia, che tra saliscendi ed alcune zone di bosco danneggiate dall’evento calamitoso di fine ottobre, ci riporta al bivio con il CAI 155. Ancora una decina di minuti sulla stessa strada e siamo nuovamente all’auto. Resoconto: Itinerario senza difficoltà tecniche che permette di raggiungere uno o due cime molto panoramiche. Il percorso ad anello permette di non rientrare al punto di partenza con lo stesso itinerario, e quando malga Lavareit è aperta ci si può fermare per una sosta o per acquistare prodotti caseari.
Il monte Forato (Prestreljenik) è la seconda cima per altezza del vasto Gruppo del Canin e sicuramente è la più suggestiva per merito della presenza del famoso foro che lo caratterizza. La nostra escursione ha inizio nei pressi del rifugio Gilberti che abbiamo raggiunto nel pomeriggio del giorno precedente (CAI 635) e dove abbiamo passato la notte. Intorno alle 8:30 ci mettiamo in marcia verso sella Prevala; dal rifugio il sentiero (CAI 636) scende di una cinquantina di metri per poi risalire l'ampio vallone detritico sulla destra della pista da sci. La funivia è in funzione da pochi minuti e già diversi escursionisti alle nostre spalle imboccano il sentiero che abbiamo appena percorso. Superato il punto più basso inizia la salita che, con pendenza costante, in meno di un ora ci porta a Sella Prevala 2.067 m. Dalla sella si gode di uno splendido panorama sia verso ovest, conca del Prevala, Bilapec e gruppo del Montasio sia verso est lungo il vallone che scende a Bovec. Dopo una breve sosta ripartiamo, l'attacco del sentiero non è facile da individuare; non sono presenti particolari indicazioni, solo un accenno di sentiero che porta ad un cavo metallico. Superato il ripido tratto costeggiamo i resti di una trincea ed iniziamo a salire alla base delle Cime Pecorelle tra rocce, erba e qualche piccolo inghiottitoio. Giunti nei pressi della stazione intermedia della seggiovia slovena proseguiamo lasciando sulla sinistra il bivio per l'Okno, ora il sentiero si fa più stretto e in qualche punto esposto, in meno di venti minuti con qualche facile passaggio di primo grado siamo sulla cima del monte Forato (2.499 m). Sono trascorse poco più di due ore dalla nostra partenza, la cima è molto affollata sia da Italiani ma soprattutto da Sloveni, la cabinovia Kanin è in funzione e probabilmente molti l'hanno utilizzata. Il panorama è davvero esteso, nonostante un po' di foschia dovuta all'anticiclone africano si riconoscono facilmente le cime più vicine e quelle più lontane; il Matajur, lo Stol, il Canin, l'Amariana, il Coglians, il gruppo del Montasio, il Mangart e il Triglav. Dopo la firma del libro di vetta e qualche foto decidiamo di ripartire subito ed andare a mangiare il panino alla finestra naturale dell' Okno, quindi scendiamo di un centinaio di metri sul sentiero dell'andata fino al bivio con la nuova via ferrata "Zavarovana plezalna pot Prestreljenik" L'inizio della via prevede il superamento con un paio di staffe di una piccola sporgenza rocciosa strapiombante, superata questa percorriamo una cengia opportunamente scavata in alcuni tratti e sempre dotata di cavo passamano. Ci muoviamo verso occidente con un percorso praticamente pianeggiante, assecondando alcune rientranze della parete giungiamo al punto più interessante del percorso; un salto roccioso verticale che superiamo agevolmente con l'aiuto di staffe metalliche ed alcuni appigli rocciosi. Concluso questo passaggio la cengia attrezzata prosegue in piano, compiendo un ampio arco verso destra fino al foro nella roccia calcarea. Anche al foro troviamo diverse persone ma riusciamo comunque a mangiare il nostro panino e scattare un paio di foto, la vista che si apre verso Sella Nevea è davvero impressionante. Per il rientro decidiamo di percorrere la "via normale" che prevede il passaggio di due brevi tratti attrezzati e un ripido ghiaione prima di giungere nei pressi dell'arrivo degli impianti di risalita; qui optiamo per prendere la seggiovia (4 euro) che porta a sella Prevala, risparmiando così almeno un chilometro di cammino. Il trasporto meccanizzato è davvero piacevole e permette di ammirare dall'alto i solchi e gli inghiottitoi tipici dell'ambiente carsico. Scesi a sella Prevala ripercorriamo il sentiero dell'andata per tornare al Gilberti dove ci fermiamo per una Radler bella fresca; ora non ci resta che rientrare a Sella.
Resoconto: Itinerario completamente in ambiente roccioso, un po' faticoso in alcuni tratti ma privo di particolari difficoltà. La ferrata si sviluppa quasi interamente in piano, solo un breve passaggio presenta una risalita (o discesa) ripida, attrezzata con fittoni; il cavo è sempre presente. Il foro (Okno) è raggiungibile anche tramite "via normale" che costringe però alla risalita di un ripido ghiaione. Sfruttando la cabinovia di Sella Nevea il tempo di percorrenza e il dislivello dell'itinerario si riducono, una bella idea (come descritto sopra) è quella di dividere l'escursione in due giorni per passare la notte al rifugio Gilberti.
L’escursione di oggi inizia dal lago superiore di Fusine, dove parcheggiamo l’auto nei pressi della locanda “Ai sette Nani” (941 m). La nostra metà sarà il rifugio Zacchi che raggiungeremo attraverso il sentiero che passa per l’Alpe Vecchia. Una volta pronti imbocchiamo con buon passo la strada forestale alle spalle della locanda che in breve ci porta ad un bivio subito dopo il ponticello sul rio Vaisonz. L’itinerario “tradizionale” prevede che al bivio si prosegua verso sinistra sulla carrareccia che porta allo Zacchi; tuttavia consiglio vivamente di passare per l’Alpe del Lago, da cui si gode di una splendida vista sul gruppo del Mangart e un suggestivo scorcio sul lago superiore. Quindi, al bivio dopo il ponte, deviamo a destra seguendo la strada che in pochi minuti ci porta all’Alpe del Lago; uno splendido pascolo di circa venti ettari posto proprio sopra il lago. La strada prosegue in direzione sud lambendo prima il bosco di abeti e poi l’omonima malga, le diverse mucche al pascolo non sembrano molto interessate alla nostra presenza e continuano nel loro brucare come se niente fosse. Superata la maga rientriamo brevemente nel bosco prima di giungere all’Alpe Tamer; raggiunto il piccolo pascolo lo superiamo costeggiandone il margine sinistro fino al bivio tra i sentieri CAI 517a e 513 (cartello vecchio con tempi sovrastimati). Dopo il bivio inizia il tratto in salita, fin qui infatti abbiamo camminato in falso piano per circa quaranta minuti, guadagnando solo pochi metri di altezza rispetto alla partenza. Il sentiero CAI 513 presenta per i primi 100 metri una buona pendenza, risaliamo con stretti tornanti un ripido canale ricoperto da vegetazione, il fondo è sconnesso e bisogna prestare un po’ di attenzione a dove si mettono i piedi. Superato il tratto ripido il sentiero continua in salita fino a raggiungere un tratto dolcemente ondulato che precede il pianoro dell’Alpe Vecchia (1.307 m), ora camminiamo agevolmente tra abetaie, rododendri e massi detritici Superato il bivio con il CAI 517 il bosco si dirada definitivamente garantendo una stupenda visuale sulle pareti del piccolo Mangart di Coritenza, della Veunza, della Strugova e sul gruppo delle Ponze. Proseguiamo lambendo i conoidi detritici posti alla base della Veunza e della catena delle Ponze fino a che il sentiero si raccorda con la carrareccia che sale al rifugio; sono passate due ore dalla partenza, ancora alcuni minuti su strada e saremo allo Zacchi. Giunti al rifugio (1.380 m) troviamo posto sulla terrazza panoramica, un buon piatto di tagliatelle al ragù di capriolo ce lo siamo meritato. Dopo aver pranzato, per il rientro al lago decidiamo di percorrere il CAI 512 che permette di risparmiare qualche chilometro rispetto alla strada forestale. Il sentiero parte in prossimità del rifugio e con una serie di stretti tornanti e gradini rocciosi permette di perdere quota molto rapidamente, superato un ultimo tornante il sentiero compie un lungo traverso a pendenza costante che ci porta a superare un piccolo guado e una scalinata di roccia. Dopo circa cinquanta minuti di discesa ci raccordiamo con la strada forestale che immersa nel bosco ci riporta fino al parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto.
Resoconto: Escursione semplice, in grado di regalare suggestivi panorami alpini. Distanza e dislivello sono contenuti ma non vanno sottovalutati alcuni tratti del sentiero CAI 513, che vengono resi insidiosi dal sottobosco umido e scivoloso.
Sul monte Matajur ci sono già stato diverse volte; d’estate, d’inverno, di giorno, di notte, a piedi e in bici ma se capita l’occasione buona non ci penso due volte a puntare le valli del Natisone per raggiungere ancora una volta gli ampi pascoli che conducono alla chiesetta sommitale. L’appuntamento è per le 8:30 in piazza a Povoletto e da lì si deciderà la meta della giornata. Puntuali ci ritroviamo tutti e tre nel luogo prestabilito sotto un cielo grigio e una leggera nebbiolina. L’idea iniziale era quella di fare un giro sulle Zuffine, selvaggia zona compresa tra i paesi di Subit e Prossenicco, ma visto il tempo umido il timore di trascorrere la giornata nella nebbia è alto. Dopo una rapida consultazione decidiamo di non rischiare e spostiamo la nostra meta sul monte Matajur; a 1600 metri siamo quasi sicuri che sbucheremo fuori dalle nubi. Dopo circa quaranta minuti di strada, all’altezza di Montemaggiore la visibilità si riduce notevolmente e dopo alcuni tornanti, come da previsione usciamo da quel mondo umido e nebbioso sfrecciando su di una strada baciata dal sole che in poche curve ci porta al parcheggio del rifugio Pelizzo posto a quota 1.320 metri. Già da qui la vista è magnifica, il cielo è terso, un mare bianco si estende a perdita d’occhio e verso sud est alcuni monti emergono come scogliere dal mare. Il nostro itinerario parte dallo spiazzo antistante l'ingresso della costruzione, dopo pochi metri al bivio tralasciamo la traccia che sale direttamente alla cima per seguire il sentiero che ci condurrà fino alle malghe di Mersino (Marsinska Planina). Questa traccia, nominata sulle carte “sentiero naturalistico del monte Matajur”, taglia il versante sud ovest del monte mantenendosi costantemente sopra la linea del bosco attraverso i prati ormai ingialliti. Man mano che ci muoviamo verso occidente lo sguardo può spaziare verso l’alta pianura avvolta da una bianca coltre da cui affiorano solo le Prealpi e i giganti alpini oltre regione. All’orizzonte è facilmente riconoscibile la massiccia piramide dell’Antelao, più vicino svettano le Prealpi Carniche e quelle Giulie con il Cuarnan e il Cjampon primi fendenti della nebbia all’imbocco della valle del tagliamento; proprio di fronte a noi affiorano anche il monte Mia, il monte Joanaz e con nostro stupore anche le Zuffine. Dalle malghe di Mersino prendiamo il CAI 725, una comoda mulattiera che prosegue leggermente in salita lungo il versante nord, passiamo sotto il rifugio Dom Na Matajure, costeggiamo un laghetto artificiale e alcune vecchie strutture fino a giungere ad un nuovo bivio vicino ad una piccola rosa dei venti. Da questo punto si apre una splendida vista sui monti sloveni e la valle dell’Isonzo (Soča) priva di nebbia. Dobbiamo affrontare l’ultimo tratto per raggiungere la cima, il segnavia ora è il CAI 736, che attraverso un percorso più accidentato, pendente e con alcuni gradini rocciosi ci porta in poco più di 10 minuti sulla sommità. La cima (1.641 m) è affollata da numerosi escursionisti, stranamente il vento che soffia perennemente su questa cima oggi è particolarmente tenue; la vista come sempre è maestosa, verso sud ovest il mare di nubi la fa da padrone, verso nord est invece sono le montagne ad offrire uno spettacolo difficilmente descrivibile. Si parte dal Cjampon per seguire tutta la cresta del Gran Monte fino allo Stol, dietro i Musi e il monte Guarda fanno da scudieri al potente massiccio carsico del Canin imbiancato solo nella porzione sommitale. Verso la Slovenia in primo piano svetta il “lavador” del monte Nero (Krn), più in là il Mangart, lo Jalovec ed il Triglav, la vetta più alta delle Alpi Giulie. Dopo le foto di rito, la firma del libro di vetta (custodito nella chiesetta) e un rapido spuntino ripartiamo per tornare all’auto seguendo il CAI 736 che con alcuni passaggi su rocce affioranti ci porta fino alla “strada di Rommel” che seguiamo per pochi metri fino a svoltare a sinistra riprendendo la traccia denominata “sentiero naturalistico del monte Matajur”. La traccia taglia il versante sud orientale del monte attraverso un bosco misto di faggio e carpino portandoci di nuovo al parcheggio in poco più di mezzora e chiudendo questo facile anello che permette di attraversare diversi ambienti montani e di godere di splendidi scorci sia sulla pianura che sulle montagne.
Resoconto: Semplice anello che permette di scoprire tutti i versanti del monte Matajur, si può percorrere in qualsiasi stagione; d’inverno in caso di neve la strada viene chiusa subito dopo Montemaggiore. Dalla cima si può godere di un panorama a 360 gradi dalle Alpi fino al golfo di Trieste.
Il monte di Rivo presenta nel suo versante meridionale un vasto anfiteatro franoso costituito da una serie di calanchi quasi privi di vegetazione e da alcuni pinnacoli di erosione dalla forma molto bizzarra, chiamati Campanili del Lander. La formazione di questi pinnacoli è dovuta ad un’alternanza di livelli calcareo-dolomitici e calcareo - marnosi con giacitura pressoché orizzontale. Tale assetto ha prodotto un’erosione lungo linee di frattura verticali, isolando le pareti rocciose che col passare del tempo hanno assunto forme sempre più slanciate. Il punto di partenza per questa escursione si trova vicino a Piano d’Arta; oltrepassato il paese, subito dopo il ponte sul il rio Radice, si svolta a destra per una ripida stradina che porta ad una azienda agricola e alla cappella votiva della Maina della Madonute. Qui si segue la carrareccia di sinistra che risale la verde radura fino ad un edificio dove si può parcheggiare l’auto. Il sentiero lo conosco già, l’ho percorso una volta con la neve e una in discesa con la mia MTB; per i primi 150 metri sale deciso all’interno del bosco fino ad un crocifisso; punto di incrocio con il sentiero che sale da Piano d’Arta. Dopo il crocifisso il sentiero diventa più lieve e anche il fondo migliora; si entra in una favolosa abetaia dove solo alcuni raggi solari riescono a filtrare attraverso le fitte chiome creando un’atmosfera fiabesca. L'ascesa si fa più leggera grazie ai numerosi tornanti che zigzagano in un bosco ora vario, formato da diverse essenze come l’abete, il nocciolo, l’orniello e il castagno. Lungo la salita si incontrano numerosi muretti a secco e terrazzamenti, segno evidente di come questi boschi oramai quasi abbandonati venissero gestiti e sfruttati fin dai tempi antichi. Giunti attorno a quota 1100 mt, il bosco, ormai costituito in gran parte da abeti, lascia spazio ad alcuni esemplari di Larice ed a una splendida faggeta all’interno della quale si possono ammirare numerosi faggi secolari. Ancora qualche minuto di cammino e si giunge nei pressi del bivio per il monte Rivo, qui svoltando verso destra in meno di dieci minuti, attraverso un bosco misto di Faggio e Carpino si raggiunge il nuovo bivacco Lander. Il vecchio bivacco mi piaceva molto; era piccolo, rosicchiato dai ghiri e con la stufa bucata però aveva un suo fascino particolare. Quello nuovo è scintillante, più grande di quello vecchio e per ora (13/11/2016) è fornito di panche, un tavolo e una super cucina economica a legna. Una volta completato diventerà di sicuro uno dei più bei bivacchi del Friuli, sicuramente ci tornerò per un pernottamento. Proprio dietro il bivacco parte l’ultimo pezzettino di sentiero, che in circa dieci minuti porta ad una piazzola panoramica attrezzata con panca, tabellone informativo e campana. Il sentiero in questo tratto è abbastanza ripido, corre proprio sul filo della nicchia di frana che al ritiro dei ghiacci (10000 anni fa) provoco la formazione di un lago nella sottostante valle del But. Dalla piazzola posta a quota 1220 metri, si può osservare tutta l’ampia area denudata a forma di anfiteatro, costituita da una serie di gradoni scoscesi. Il paesaggio, molto suggestivo, mostra pinnacoli, torri e bastioni di roccia dalle forme e dimensioni più svariate. Tutto ciò è frutto dell'intensa erosione operata dagli agenti atmosferici su di un versante privo di vegetazione e con una giacitura degli strati orizzontale. Volgendo lo sguardo più a destra si può ammirare la vallata del canale di San Pietro, con i paesi di Arta Terme e di Zuglio, attraversati dal largo bacino del Torrente But. Nonostante questo itinerario non porti molto in alto e principalmente si sviluppi su versanti boscosi è in grado di regalare scorci e panorami davvero interessanti sulla vallata sottostante e sulle principali cime della zona. Dalla piazzola per tornare indietro si utilizza lo stesso sentiero, una pausa al bivacco è d’obbligo, soprattutto quando qualcuno ha già acceso il fuoco e sta arrostendo le castagne sullo spolert. Per tornare all’auto si utilizza lo stesso sentiero percorso all’andata; è possibile tuttavia accorciare un tratto sfruttando un sentiero non segnato, che una trentina di metri dopo il bivacco devia sulla sinistra per un pendio erboso abbastanza ripido. Resoconto: Escursione adatta a tutti, su sentiero semplice e ripido solo per i primi 200 metri; molto interessanti i paesaggi attraversati e la sugestiva nicchia di frana con i campanili.
Il monte Lovinzola, situato nelle Prealpi Carniche, è la seconda cima per altezza appartenente al gruppo del monte Verzegnis (m. 1914). Dai suoi 1868 metri è possibile ammirare uno splendido panorama, la vista può spaziare dall’affascinante profilo dell’Amariana fino alle lontane dolomiti, passando per le numerose cime della Carnia. Sul versante nord – est, quello visibile da Tolmezzo, si estende una cava a cielo aperto di marmo rosso; la cava posta a 1600 metri ha un fronte alto mediamente 15 metri e sviluppo trasversale di circa 250 metri. L’attività estrattiva, iniziata nel 1922, continua tutt’oggi grazie ai moderni mezzi meccanici ed a una strada di servizio che passa sul versante est del Colle dei Larici. Presso sella Chianzutan, lungo il versante sud e a quota 1650 metri del Colle dei Larici è possibile vedere tutt’oggi la partenza, i tralicci e l’arrivo della vecchia teleferica, entrata in funzione negli anni ’30 e che serviva a trasportare a valle i blocchi di marmo. L’itinerario ha inizio presso sella Chianzutan, a quota 955 metri dove lasciamo l’auto nell’ampio parcheggio del bar. Proprio di fronte a questo, nei pressi della vecchia gru per il carico dei camion parte il sentiero CAI 806 che attraverso una piacevole faggeta ci porta presso la ristrutturata casera Mongranda. Esattamente dietro la casera, vesso sinistra, il sentiero prosegue in rapida salita nel bosco e in circa un’oretta giungiamo ad un bivio. All’interno del bosco e sui prati i colori sono magnifici, il sole accende i colori caldi dell’autunno e in mezzo alle sfumature di giallo spiccano le rosse bacche della rosa canina. Al bivio giriamo a sinistra e proseguiamo piacevolmente lungo il sentiero fino ad un grande cartello didascalico che illustra il percorso denominato "sentiero delle creste". La prima parte di questo sentiero combacia con il CAI 806 che noi seguiamo fino ad arrivare alla casera Val (m. 1661); splendida casera ristrutturata da pochissimo utilizzando anche il marmo rosso estratto dalla cava. Dopo un’ora e mezza di cammino ci concediamo una pausa, più che altro per visitare il piccolo ricovero ricavato in uno dei due fabbricati adibiti a stalla. Recuperate le forze e soddisfatta la curiosità riprendiamo il percorso seguendo la traccia che proprio di fronte alla casera sale verso forcella Cormolina (m. 1764). Raggiunta la forcella giriamo verso destra ed iniziamo a seguire le paline rosa salmone (sentiero delle creste) attraverso una serie di saliscendi lungo delle suggestive creste erbose ed in un’ora e mezza giungiamo alla nostra meta, il monte Lovinzola (m. 1868). Con il passare delle ore si è formata un po’di nuvolosità che per fortuna si muove abbastanza rapidamente nel cielo azzurro, nascondendo solo a tratti lo splendido panorama a 360 gradi. Dopo le classiche foto di rito ripartiamo attraverso il versante sud seguendo le indicazioni su di un ripido prato fino a raggiungere la strada di servizio della cava. Raggiunta la strada aggiriamo il Colle dei Larici grazie ad una galleria ed in breve tempo arriviamo al sentiero che scende verso Sella Chianzutan e che ci permette di chiudere l’anello. Il sentiero scende lungo ripidi versanti erbosi, alternati da qualche tratto in un bosco misto di faggi e abeti; il sentiero non è sempre agevole e a dire il vero, non sembra godere di molta manutenzione a differenza dei segnavia fin ora percorsi. Nell’ultimo tratto il sentiero si trasforma in carrareccia, la quale ci riporta fino a casera Mongranda; ancora pochi minuti e il giro è concluso.
Resoconto: L’escursione è adatta a tutti e non presenta particolari difficoltà, gli itinerari percorribili sono numerosi e il giro può essere accorciato o allungato a piacere. L’autunno probabilmente è il periodo migliore visto l’atmosfera più limpida e gli splendidi colori del bosco.
Da un paio di anni ormai nella prima domenica di Agosto, presso il Rifugio Giovanni Olinto Marinelli, si svolge un evento "mondano" chiamato Scollinando dove lo staff del rifugio e quello del ristorante Da Nando collaborano per dare vita ad una festa a base di musica e succulenti piatti ad alta quota (2.100 m). Ogni anno a seguito dell'evento non mancano mai le polemiche, due sono gli schieramenti: quelli del "questi eventi non hanno nulla a che fare con la montagna" e quelli del "per un giorno andate da altre parti se volete la tranquillità". Dal canto mio ho sempre assistito a queste discussioni infinite da spettatore ignorante visto che non ci ero mai stato e quindi quest'anno ho deciso di fare un salto a Scollinando, partendo dal campeggio di collina e completando il giro ad anello passando per forcella plumbs. Parto da Udine, per le 8 passo a prendere la morosa e via verso Collina, pausa caffè ad Ovaro e poi gli ultimi interminabili chilometri fino a Collina, la strada sembra ogni volta più lunga. Gran ressa di auto già al campeggio, oggi ci sarà il pienone. Poco male, noi dobbiamo parcheggiare proprio qui, altrimenti al ritorno bisogna fare quesi un chilometro d'asfalto in salita. Tra una cosa e l'altra siamo al rifugio Tolazzi alle 10:00, orario perfetto per giungere al Marinelli verso le 12:00; l' orario di inizio della festa. La prima parte della salita avviene sulla strada forestale che inizia presso il rifugio Tolazzi e arriva fino al rifugio Marinelli. Noi sul tornante a quota 1500 mt. decidiamo di prendere il sentiero cai 143 che permette di accorciare la strada dal punto di vista dei chilometri e del tempo a discapito della pendenza. In meno di un ora siamo a casera Morarèt, breve pausa e poi ripartiamo. Sia la strada che il sentiero sono molto trafficati ma la maggior parte delle persone preferisce la strada, noi proeguiamo con il sentiero. La pendenza del sentiero si mantiene abbastanza costante fino a quota 1900 mt. poi per gli ultimi trecento metri aumenta rendendo il sentiero più faticoso. L'ambiente in cui si cammina è quello tipico dei pascoli alpini, dolci pendii erbosi solcati da numerosi torrenti di acqua fresca e qualche cespuglio di Ontano Verde. Superati gli ultimi metri poco prima delle 12:00 siamo al Marinelli; la musica è gia alta, c'è molta gente e altra ne deve ancora arrivare. Troviamo due posti a sedere sulla terrazza, la fame si fa sentire e subito ordiniamo da mangiare: lasagne con salsiccia e tarassaco, frico, spezzatino di cervo e polenta. Riprese le forze con il succulento pranzo decidiamo di spostarci su di uno dei prati vicino al rifugio. Sono circa le 13.30 e adesso c'è molta più gente rispetto a quando siamo arrivati; ragazzi giovani e meno giovani, gruppi di amici, famiglie con bambini e coppie, chi più attrezzato e chi meno ma tutti con la voglia di farsi due ore di strada in salita per passare una giornata di festa in quota. Certo qualcuno ha fatto il furbo ed è salito in macchina sfruttando un passaggio da chi ha portato i materiali al rifugio, ma sono davvero in pochi. La giornata è splendida soffia un po'di vento, nuvole veloci solcano il cielo, distesi sull'erba si sta benissimo, sono già le 14:40 è ora di rimettersi in marcia. Da forcella Morarèt imbocchiamo il CAI 174 che in quindici minuti ci porta a sfiorare la cima del monte Floriz (2184 mt.), da qui il sentiero prosegue in discesa verso forcella Plumbs con uno spettacolare percorso in cresta. Appena superata la cima del Floriz la musica e la folla al Marinelli sono già un ricordo lontano; il vento agita i fili d'erba e gli unici suoni udibili sono quelli dei campanacci delle mucche e i fischi delle marmotte. In discesa si raggiunge in breve forcella Plumbs (1970 mt.) un ampio avvallamento erboso che unisce il monte Crostis al gruppo del monte Coglians. Dopo una breve pausa per bere un sorso d'acqua ripartiamo e in mezzoretta raggiungiamo casera Plumbs. Dalla casera imbocchiamo la strada forestale che abbandoniamo dopo il primo tornante per seguire il sentiero CAI 150, il sentiero alterna tratti all'interno di una splendida pecceta con alcuni piccoli guadi e in un oretta ci riporta sulla strada che sale al Tolazzi vicino all'ex bar Edelweiss. Sono le 17:30 e non ci resta che percorrere un pezzetto di strada fino a dove avevamo lasciato l'auto. Resoconto:
Il monte Cuarnan è la prima cima importante delle pre Alpi Giulie e dai suoi 1.372 metri di altezza domina sia l’abitato di Gemona che quello di Montenars. In Friuli chiunque ami andare a camminare in montagna ci è salito almeno una volta, tutti sanno dov’è e tutti sanno che in cima c’è una chiesetta dedicata al Cristo Redentore. Io da bravo escursionista friulano ci sono salito più e più volte attraverso i suoi numerosi sentieri sia a piedi che in bici. Prima di oggi mi mancava solo un sentiero, il cai 714, che partendo dal Roccolo di Spisso sale alla cima attraverso il versante est con un suggestivo percorso in cresta. Sono le 8.30 e mi trovo al punto di partenza del sentiero, vicino ad un roccolo ancora ben tenuto. Siamo a fine giugno e forse avrei fatto meglio a partire più presto, fa già caldo ed è molto umido. L’ itinerario nella prima parte prevede il taglio di un paio di tornanti di una strada bianca fino ad un bivio dove un cartello indica la direzione. Da qui inizia un tratto abbastanza ripido all’interno di un fitto bosco misto, alcuni scalini costruiti con dei tronchi facilitano la salita. Ieri sera ci deve essere stato un temporale, il bosco è bagnato, il sentiero è scivoloso e c’è un’umidità pazzesca! Dopo 30 minuti di cammino il bosco si dirada a chiazze lasciando intravedere qualche scorcio sulla pianura. In 40 minuti raggiungo quota 950 metri dove al bivio con il cai 716 giro a destra uscendo dal bosco sui verdi prati della dorsale est del Cuarnan. In breve raggiungo il bivio per il monte Duon, il mio sentiero vira bruscamente a sinistra costringendomi a salire i 100 metri che mi separano dal Puier dal Cuarnat seguendo la massima pendenza. Per fortuna una nuvola oscura il sole alleviando leggermente le mie pene, oggi le gambe non girano un gran che. Superato questo tratto mi concedo una breve pausa, dalla partenza è passata un’ora e venti minuti. Dopo pochi minuti riparto verso la cima affrontando il tratto più suggestivo della camminata: il sentiero corre rapido sulla cresta del versante est, a percorrerlo sembra quasi di volare. In mezzoretta raggiungo la cima dove vicino all’ingresso della chiesetta trovo il libro di vetta, sono le 10.45 e sono il terzo visitatore del Cuarnan per questa mattina. Purtroppo l’umidità dell’aria limita la visuale sulla pianura che nelle giornate limpide spazia fino al mare. Dopo la firma mi concedo una pausa più lunga per mangiare un panino e scambiare un due parole con un signore appena arrivato il quale mi racconta delle sue avventure giovanili sui versanti del Cjampon e del Cuarnan. Verso le 11.15 è tempo di ripartire, è vero che sono in cima ma non sono nemmeno a metà del mio percorso ad anello. Dalla cima, scendendo sul versante ovest, arrivo in un batter d’occhio all’Ors di Cuarnan dove almeno 15 ragazzi aspettano il momento buono per spiccare il volo con il parapendio. Continuo a scendere lungo le pendici erbose punteggiate di arancione dal giglio carniolico e di giallo dalle ginestre giungendo molto rapidamente al bivio con il cai 716. Questo sentiero, un lungo traverso che collega il versante ovest con quello est, è stato chiuso per diversi anni a causa di una frana che incombeva su di esso ma da un paio di anni è stato riaperto con una variante. Il sentiero scorre rapido con pendenze leggere fino al punto in cui c’è la deviazione per la frana, la deviazione mi costringe a una nuova ripida salita nel bosco, oggi io e la salita abbiamo un rapporto difficile. Superata anche questa in breve sono di nuovo al bivio a quota 950 metri con il sentiero che ho percorso in salita. Le campane di Montenars suonano le 12:00, da qui in circa mezz'ora sono di nuovo alla macchina. Il Cuarnan non annoia mai, abbondanti fioriture e splendidi panorami ci accompagnano in una salita semplice ma non banale. Con il giro odierno ho scoperto il versante est; impervio e aspro soprattutto in direzione dell’alta Val Torre dove le piogge hanno eroso buone parti dei prati scoprendo la roccia calcarea di cui è formato il Cuarnan nella parte alta. Resoconto:
Nel cuore della Carnia la lunga dorsale erbosa del monte Crostis viene chiusa ad est dal monte Zoufplan e dal monte Tenchia. Il punto di partenza per questa escursione è il Pian delle Streghe situato a 1400 mt, dove gli alberi iniziano a diradarsi e lasciano spazio ai pascoli d’alta quota, ancora oggi utilizzati. La strada per Pian delle Streghe parte da Cercivento e dopo 10 chilometri di stretti tornanti immersi nel bosco appaiono le prime baite caratteristiche. Ancora un paio di chilometri e si raggiunge un tornante (1520 mt.) dove l’asfalto finisce e c’è lo spazio per parcheggiare l’auto. Sono le 10:00, delle leggere velature in cielo nascondono il sole che non scalda troppo, una leggera brezza rende l’aria frizzantina e gradevole. Zaino in spalla e scarponi ai piedi partiamo alla volta dei laghetti di Zoufplan; per la salita abbiamo deciso di seguire il sentiero cai 154 che sale in modo deciso sui ripidi pendii erbosi del monte Tenchia. Le mucche sono già al pascolo e accompagnano la nostra salita con il classico suono dei loro campanacci. Dopo meno di un’ora di strada raggiungiamo il Pizzo del Corvo (1850 mt.) dove il sentiero si immette sulla strada che sale dalla malga Zoufplan bassa. La strada prosegue in falsopiano sfiorando la cresta monte Zoufplan fino al bivio per la cima di quest’ultimo; alcune marmotte scorrazzano felici sui verdi pascoli non troppo preoccupate dalla nostra presenza. Noi proseguiamo dritti verso i laghetti che raggiungiamo in breve tempo. Meno di due ore dalla partenza e davanti ai nostri occhi troviamo la splendida conca glaciale dove sul fondo si sono formati per esarazione due laghetti. Dalla strada (1950 mt.) bisogna scendere di una cinquantina di metri lungo il pendio erboso per arrivare sulla riva dei laghetti. Il sole va e viene a causa di alcune nuvolette ed una leggera brezza garantisce una temperatura accettabile; possiamo mangiare i nostri panini qui. Verso le 13:00 ripartiamo alla volta della cima del monte Zoufplan (1999 mt.) dove ci attende una spettacolare vista dal Coglians allo Zoncolan passando per il Mangart, il Kanin, il Sernio, il Plauris e il monte Dauda. Dalla cima ripartiamo scegliendo di seguire la strada che attraverso un percorso più lungo ma meno ripido ci riporta alla macchina. Ormai le nuvolette e la leggera brezza sono solo un ricordo, il sole picchia e fa molto caldo, scottature assicurate nonostante la crema! Video dell'escursione: https://www.youtube.com/watch?v=T4GHWhZ-BlM Resoconto:
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Gennaio 2020
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