Per il primo giro sulla neve della stagione abbiamo scelto una classica meta per questa tipologia di escursione; la dorsale del monte Dimon con partenza da castel Valdajer. Lasciata l’auto nei pressi del castello, ci incamminiamo sui ripidi prati che ospitavano la vecchia pista da sci; i primi metri li percorriamo su terreno ghiacciato ma privo di neve. Superate un paio di ripide salite ecco la prima neve, nei pressi di un pianoro con una casera iniziamo a trovare un abbondante copertura nevosa. Complice il freddo e la mancanza di precipitazioni per alcuni giorni, il manto è ghiacciato e ci permette di proseguire senza indossare le ciaspole. Dopo circa quaranta minuti il bosco inizia a diradarsi e possiamo già ammirare uno splendido panorama sulla vallata di Paluzza e sulle Alpi Carniche; un traverso ci porta nei pressi di una antenna e da lì, con un breve tratto molto ripido siamo in cresta. Il filo di cresta che porta al monte Neddis è molto ampio e permette di godere di una splendida vista in quasi tutte le direzioni. Le condizioni della neve restano perfette, proseguiamo spediti su neve dura e ghiacciata; man mano che saliamo di quota, da ovest un vento freddo inizia a soffiare sempre più forte. Superato un falsopiano il versante diventa più ripido, l’ultima fatica prima di raggiungere la cima. La sommità del monte Neddis è un grande pianoro, dove nella parte più alta è piantata una piccola croce formata da due bastoncini di legno. La vista è davvero notevole, da qui possiamo spaziare con la vista su quasi tutte le cime del Friuli e parte di quelle venete e austriache. Purtroppo oltre alla splendida vista, la cima ci riserva anche un gelido vento che non ci invoglia a fermarci per più di una decina di minuti. Scattate un paio di foto decidiamo di ridiscendere per lo stesso itinerario fino a quota 1650 dove è presente una cabina a servizio di alcune antenne. Qui ci fermiamo per mangiare i nostri panini ammirando il panorama verso Paularo; terminata la sosta non ci resta che ripercorrere la strada fatta all’andata per ritornare a castel Valdajer.
Resoconto: Facile escursione sulla neve, che su di un percorso privo di insidie e difficoltà tecniche permette di ammirare uno splendido panorama. L’escursione può essere allungata raggiungendo il Monte Dimon, proseguendo lungo la dorsale dopo aver superato il monte Neddis.
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Dopo un lungo periodo in cui ho frequentato principalmente Alpi e Prealpi giulie avevo voglia di tornare sulle Carniche, magari raggiungendo una cima su cui non ero mai stato. Dopo una rapida ricerca ero giunto a due ipotesi; o il Rauckofel dal Tolazzi oppure il Navagiust da Pierabec. Alla fine la scelta è ricaduta sul secondo giro, visto che mi dava la possibilità di compiere un anello lungo la valle di Fleons. Il punto di partenza per l’escursione è la colonia estiva di Pierabech, situata a pochi chilometri da Forni Avoltri. Nonostante la zona sia stata pesantemente colpita dalla tempesta Vaia, i sentieri ormai sono quasi tutti agibili, quindi alla buon’ora passo a prendere il mio amico Davide e iniziamo a risalire la statale in direzione Forni. Già da Rigolato i danni al bosco sono ingenti ma la parte peggiore la vediamo nei pressi di Forni; intere porzioni di bosco sono state spazzate via, versanti già ripuliti si alternano a zone con ancora centinaia di alberi al suolo; questo triste spettacolo ci lascia quasi senza parole. Giunti nei pressi della colonia, lasciamo l’auto lungo la strada, imbocchiamo il sentiero cai 141 e guadiamo il torrente Degano, che ha completamente cambiato il suo corso rispetto al vecchio ponticello. Superati alcuni schianti iniziamo a risalire il bosco su sentiero, fino a che non incrociamo la strada forestale che sale a casera Bordaglia di sotto. Iniziamo a seguire la strada, in diversi punti troviamo abeti sradicati e spaccati dal vento, qui le zone colpite sono più limitate ma i danni sono comunque ingenti. In circa un’ora di cammino siamo alla casera dove ci fermiamo per una breve pausa. La casera è chiusa ma è presente un piccolo ricovero abbastanza confortevole dotato di stufa e fornello a gas. Dalla casera, proseguiamo con il nostro itinerario su sentiero, il primo tratto risulta rovinato dagli schianti ma è comunque transitabile senza problemi. Poco prima di raggiungere i pascoli di Bordaglia troviamo sulla destra la fontana dell’Alpino, una fonte d’acqua con una vasca in cemento su cui è stato incollato un elmetto Adrian. Ricaricate le borracce, ancora qualche minuto di salita e siamo a casera Bordaglia di sopra. Giunti alla casera notiamo che il tempo sta cambiando, le nuvole prima sporadiche ora si si stanno organizzando e coprono buone porzioni di cielo; decidiamo quindi di proseguire verso sella Sissanis senza andare sulle sponde del lago. Il sentiero cai 142 parte dietro la casera e in breve ci porta nei pressi del laghetto Pera e successivamente alla sella. Qui ormai il sole è coperto da nuvoloni grigi e un venticello fresco spira da nord, dopo rapida consultazione decidiamo di tentare lo stesso la cima del Navagiust, se dovesse iniziare a piovere torneremo indietro. Dalla sella non c’è un vero e proprio sentiero, inizialmente seguiamo una fievole traccia sul filo di cresta, poi raggiunta una trincea decidiamo di seguirla traversando il versante a sud. Ancora un tratto su balze erbose e raggiungiamo un pianoro posto sotto la cima, dove sono presenti dei resti di baraccamenti. Sfruttando un ripido versante erboso raggiungiamo infine una stelletta fortificata da una trincea, superiamo un breve tratto su roccette e siamo finalmente sulla cima del Navagiust. La vista è magnifica, spazia liberamente dal Coglians fino al Peralba, in basso possiamo ammirare il lago di Bordaglia, la valle di Fleons, Pierabech e la valle di Cima Sappada. Oltre ad una piccola croce, sulla sommità è anche presente un piccolo osservatorio militare ancora agibile. Purtroppo la nostra permanenza in cima dura poco, dalle valli vicine sono ben visibili le bande di precipitazione, decidiamo quindi di ritornare verso sella Sissanis per evitare di attraversare i prati con l’erba resa scivolosa dalla pioggia. Rientrati per lo stesso percorso, nei pressi di un piccolo punto di osservazione decidiamo di deviare verso sinistra in modo da scendere più rapidamente verso il sentiero che porta a casera Sissanis. Ora la situazione meteo sembra più favorevole, addirittura è uscito nuovamente il sole e quindi decidiamo di fare una sosta per mangiare i nostri panini. Recuperate le forze ripartiamo seguendo il sentiero cai 142, che ci porta prima a casera Sissanis di sopra e poi a quella di sotto, ancora agibile ma priva di qualsiasi manutenzione da tempo. A causa di un improvviso acquazzone siamo costretti ad una sosta proprio in quest’ultima, fortunatamente il tutto si esaurisce in una decina di minuti e in breve possiamo riprendere il cammino. Superata la casera il sentiero si trasforma in mulattiera, scende nel bosco verso il fondovalle ed incrocia la strada forestale che sale da Pierabach. L’ultimo tratto lo percorriamo costeggiando la profonda forra della stretta di Fleons, finché raggiunta la cava di marmo, non ci resta che percorrere su asfalto il breve tratto che ci separa dall’auto. Resoconto: L’itinerario descritto è il classico anello del lago di Bordaglia con l’aggiunta della salita al monte Navagiust. Questa variante, interessante dal punto di vista storico e per il panorama, è consigliata ad escursionisti esperti in quanto non vi è un vero e proprio sentiero che porta alla cima. Il resto dell’itinerario è adatto a tutti ma necessita un po’ di allenamento a causa della lunghezza e del dislivello da affrontare.
Traccia GPS:
Dopo la stagione invernale 2018/2019, avara di precipitazioni nevose soprattutto a quote medio basse, mai avrei pensato di poter ancora ciaspolare per il primo di maggio. Fatto sta che dopo le abbondanti e sorprendenti precipitazioni, che in una notte hanno scaricato circa 40 cm di neve sia sulle Carniche che sulle Giulie, non restava che scegliere la meta più appropriata per utilizzare le ciaspole ancora volta, prima della pausa estiva. Dopo aver scartato alcune idee, il suggerimento sulla meta è giunto da Facebook, dove un post avvisava che il rifugio Pellarini avrebbe aperto proprio per la festività del primo maggio. Sentiti gli amici, tutti d’accordo, restava solo da decidere l’ora di partenza. Lasciata l’auto al “parchegio P2” in val Saisera (869 m slm), ci incamminiamo per la strada forestale seguendo le indicazioni per il rifugio (sentiero n. 616). La giornata è spettacolare, il cielo è limpido e tutte le cime innevate si ergono maestose davanti a noi. La cosa che subito mi ha colpito è stata il contrasto tra le foglie verde brillante dei faggi e il bianco della neve a terra; qualcosa di insolito e molto particolare. Questo piacevole connubio cromatico ci accompagna lungo tutta la strada forestale, che percorriamo lungo il primo tratto del nostro itinerario. La strada alterna un paio di tratti più ripidi ad alcuni tratti in falsopiano e camminando con tranquillità, in circa un’ora raggiungiamo il Pian dei Caboneri, dove parte la teleferica a servizio del rifugio. Superata la teleferica il quantitativo di neve al suolo aumenta e poco prima che il sentiero inizi a salire con più decisione indossiamo le ciaspole. Ora il sentiero diventa molto più stretto e proseguiamo la nostra ascesa sotto un costone roccioso, da dove ha inizio una lunga diagonale a ridosso di pareti ricoperte dai mughi. Superiamo con l’aiuto di un cavetto alcuni tratti rocciosi e una volta raggiunta la sommità della parete rocciosa attraverso un canalino, seguiamo le tracce sulla neve di chi ci ha preceduto. Ancora qualche minuto di cammino nel bosco e poi, improvvisamente, il paesaggio cambia; il bosco si dirada e davanti ai nostri occhi si apre l'ampio circo morenico delle Cime delle Rondini. Ancora qualche passo immersi nel candore della neve e, sulla nostra sinistra, iniziamo a intravedere il Pellarini (1.499 m slm), incorniciato dall’imponente gruppo della Madre dei Camosci, Jof Fuart e Grande Nabois. Il rifugio sembra ormai vicino, ma prima di poterci sedere sulla splendida terrazza dobbiamo superare poco meno di 100 metri di dislivello su traccia già battuta ma comunque faticosa per la pendenza. Dopo due ore di cammino, arriviamo in rifugio con una fame da lupi e molta sete; troviamo posto sulla terrazza e quattro birre per recuperare i sali minerali sono lì che ci attendono. Ristorati dalla birra fresca e dal panorama ordiniamo da mangiare: pasta al ragù, frico, polenta, salsiccia e per finire crostata. Spazzolato per bene i piatti decidiamo di fermarci un po’ in rifugio per godere della splendida giornata, ogni tanto qualche colata di neve dà spettacolo lungo le pareti rocciose e in breve si fanno le 3; è ora di ripartire. Prima di intraprendere la discesa ci beviamo una grappa con Giorgio (il gestore del rifugio) che ci invita tutti all’apertura della stagione estiva il 18 maggio. Rimesse le ciaspole, seguiamo il percorso dell’andata e perdiamo quota con qualche capitombolo sulla neve ormai “molla”. Raggiunto il bosco, le ciaspole non servono più, nei tratti ripidi prestiamo attenzione a non scivolare e in poco più di un’ora siamo di nuovo all’arrivo della teleferica. Non resta che seguire la strada forestale immersa nella faggeta fino al parcheggio; a valle ormai non resta quasi più traccia della neve, ma ormai siamo a maggio ed è tempo che le ciaspole tornino al loro posto sulla mensola in garage!
Resoconto: Il sentiero n. 616 parte dal parcheggio in val Saisera e con un dislivello di 630 metri porta al rifugio Pellarini, aperto nel periodo estivo. Il sentiero ha difficoltà escursionistica E, con un piccolo tratto attrezzato con un cavetto per semplificare la salita. Il rifugio può essere raggiunto in un paio di ore per una facile escursione, oppure può diventare un punto strategico d’appoggio per un’escursione di più giorni nelle Alpi Giulie.
Link utili: Rifugio Luigi Pellarini Rifugio Pellarini pagina Facebook Per immergersi nella natura incontaminata e nel silenzio del bosco dopo una nevicata, l’alpe di Ugovizza offre numerosi itinerari adatti alle ciaspole, per ogni grado di allenamento. Per il giro di oggi abbiamo deciso di intraprendere un percorso ad anello che permette di raggiungere prima maga Priu e poi il rifugio Gortani. Lasciamo l’auto nel parcheggio denominato “P2”, lungo la strada che porta al rifugio Gortani. L’ambiente è tipicamente invernale, gli alberi sono carichi di neve e al suolo ci sono almeno 40 centimetri di neve fresca. L’itinerario del “Puanina Winter” inizia proprio nei pressi del parcheggio, calziamo quindi le ciaspole e partiamo seguendo la strada forestale che porta a Malga Priu, in leggera discesa superiamo un corso d’acqua su di un ponte ed iniziamo a salire. La strada alterna tratti dolci a brevi strappi, mai troppo impegnativi. Nonostante la recente nevicata qualcuno ha già battuto la traccia, quindi risaliamo abbastanza spediti, fermandoci solo per scattare alcune foto. Tutti i bivi che incontriamo sono ottimamente segnalati e in circa quaranta minuti giungiamo nella splendida radura di malga Priu; appena fuori dal bosco veniamo investiti da alcune folate di vento gelido, purtroppo il sole è dietro le nubi e quindi ci fermiamo solo pochi minuti per salutare le mucche Highlander e ammirare la grandiosa vista sui monti della val Saisera. Ripartiamo puntando le curiose casette pigna, le superiamo, e ci incamminiamo lungo un sentiero che parte nei pressi di un tornante. In pochi minuti di cammino ci raccordiamo con un’altra strada forestale e proseguiamo su questa in leggera salita. Il silenzio viene interrotto solo dalle folate di vento che, con il passare del tempo si fanno sempre più insistenti. In leggera discesa raggiungiamo il letto del Rio Rauna, superato il corso d’acqua svoltiamo subito a sinistra e ci incamminiamo sulla strada che porta al Col di Mezzo. Questa è una variante che abbiamo deciso di intraprendere per allungare un po’ il giro, il percorso indicato dal Puanina Winter, dopo il ponte sul rio Rauna prosegue verso destra. Ora la traccia non è più battuta e avanziamo con più fatica nella neve fresca, inoltre il vento si è rafforzato e provoca la caduta di neve dagli alberi, forse era meglio optare per il giro corto! Proseguiamo a batter traccia fino al primo bivio che incontriamo, dove giriamo a destra. Poi, subito dopo svoltiamo a sinistra e proseguiamo finché non raggiungiamo un vecchio fienile posto in una radura. Dalla struttura iniziamo la discesa verso la Val Rauna, tagliamo i tornanti scivolando sulla neve fresca e in circa 5 minuti sbuchiamo nei pressi di alcuni stavoli, proprio in fondo alla val Rauna. Nell’ampia valle il vento freddo ci colpisce a folate e ci avvolge in nubi di neve alzata dai tetti e dai prati circostanti, raggiunta la strada decidiamo di togliere le ciaspole e proseguire più spediti sull’asfalto. Percorriamo quasi interamente la val Rauna fino nei pressi di un ponticello, dove sulla sinistra si stacca il sentiero che, in pochi minuti ci porta al rifugio Gortani. Dal rifugio al parcheggio “P2” ci sono ancora dieci minuti di strada; prima però di chiudere il nostro giro, non ci resta che entrare in rifugio e scoprire cosa propone di buono la cucina del Gortani! Resoconto: Quello descritto è un semplice itinerario con le ciaspole che si dirama tra boschi, prati e baite lungo i sentieri e le strade forestali della foresta di Tarvisio. Il giro descritto può essere accorciato di circa un chilometro evitando la deviazione sulla strada per il Col di Mezzo. Il rifugio Gortani è un ottimo punto di appoggio per rifocillarsi dopo la ciaspolata; ottimo servizio, piatti gustosi e porzioni abbondanti…voto dieci!
Traccia GPS:
Superata Valbruna risaliamo la parte bassa della Val Saisera, lasciamo sulla destra la ex polveriera, attraversiamo il ponte fino a raggiungere il parcheggio della Malga Saisera nei pressi di una cappella, dove lasciamo l’auto. La prima cosa che notiamo è la neve presente al suolo, che dona al bosco ed ai versanti un aspetto tipicamente invernale, assente per ora in molte delle nostre vallate. Proprio dietro la cappelletta imbocchiamo il sentiero che porta al rifugio Grego, il sentiero risale il bosco di faggio incontrando la strada forestale un paio di volte finché usciti dal bosco vediamo il rifugio. Facciamo una rapida pausa per ammirare le pareti nord del Montasio e l’imponente nicchia di frana sulla parete nord del Buinz. Imbocchiamo il cai 651 dietro il Grego, ora la copertura nevosa del suolo si fa più presente, la traccia è già battuta e in breve ci troviamo a costeggiare il laghetto di Somdogna ghiacciato. Ancora qualche minuto e raggiungiamo il bivio con il sentiero cai 610, che porta in cima allo Jof di Somdogna. Prima di continuare sul 610 decidiamo di calzare le ghette, ora la copertura nevosa è maggiore e sembra che nessuno abbia intrapreso il sentiero prima di noi. Fino a quota 1.600 metri risaliamo il pendio con diverse svolte e alcuni tratti ripidi, non si sprofonda molto nella neve e riusciamo a tenere un buon passo. Giunti nei pressi dei ruderi di un edificio militare il bosco si apre in una piccola radura e possiamo scorgere la croce di vetta, ora il sentiero è meno ripido ma la quantità di neve al suolo aumenta. Proseguiamo con alcuni sali scendi fino ad un traverso che superiamo con un po’ di attenzione, verso quota 1750 metri il sentiero ritorna ad essere più ripido così decidiamo di calzare i ramponi. Risaliamo decisi il canalino fino ad una selletta dove si apre una splendida vista sul Montasio; continuiamo la salita tra i mughi, ora siamo un po’ esposti, dobbiamo prestare la massima attenzione a non scivolare. Continuiamo e facciamo molta attenzione a dove piantiamo i ramponi, la neve c’è ma la roccia non è del tutto coperta. Un ultimo sforzo ed ecco le prime costruzioni della Grande Guerra, alcuni muretti e il piccolo rifugio Köpfach ricavato da un vecchio osservatorio. La cima dista pochi minuti, non appena la raggiungiamo veniamo investiti da alcune forti raffiche di vento gelato. Abbiamo giusto il tempo per ammirare la splendida vista a 360 gradi sulle Giulie e sui monti del tarvisiano e poi riscendiamo verso i ruderi del versante ovest per cercare riparo dal vento. Giunti nei pressi di un vecchio edificio, aggiriamo la cima verso sud passando per i vecchi camminamenti e attraverso le trincee; non oso immaginare quanto abbiano sofferto i soldati cento anni fa. Ritornati al ricovero Köpfach ci concediamo una pausa panino che dura fin quando il sole sparisce dietro il Re e la temperatura da accettabile diventa gelida. Con molta attenzione riscendiamo fino alla selletta e poi giù velocemente fino al bivio per lo stesso percorso dell’andata. Superato il laghetto in breve siamo al Grego, il rifugio è aperto e decidiamo di concederci una birra, la vista che si gode dalla sala del rifugio è davvero notevole e al caldo della stufa si sta proprio bene. Finita la birra a malincuore ripartiamo per raggiungere l’auto, un po’ di attenzione nei tratti ghiacciati e siamo di nuovo nel parcheggio di Malga Saisera. Resoconto: Itinerario ricco dal punto di vista storico, facile da percorrere nella bella stagione, diventa più impegnativo in invernale. Gran parte del percorso si svolge su versante nord, in caso di molta neve si possono utilizzare le ciaspole fino a quota 1700 metri, poi meglio proseguire con i ramponi.
L’obiettivo della gita odierna era quello di salire sulla cima dell’Osternig, ma le forti raffiche di vento che soffiavano a sella Bistrizza ci hanno fatto cambiare idea. Una volta raggiunto il villaggio alpino (Feistrizer Alm) abbiamo fatto visita alla cappella della Madonna della Neve e siamo rientrati all’auto per il medesimo percorso. La giornata si presenta limpida e non troppo fredda, la neve ancora scarseggia sulle Alpi ed è presente solo nelle zone dove non batte il sole. Dal parcheggio situato nella zona dove sorgeva il vecchio Rifugio Nordio-Deffar (1210 m.), ci incamminiamo lungo la strada forestale che costeggia il rio Uqua e dopo alcuni ripidi tornanti deviamo a sinistra per imboccare il sentiero CAI 507 che permette di accorciare il tempo di salita. Il sentiero sale nel bosco di abeti alternando tratti ripidi e sconnessi a tratti più scorrevoli fino a che non si ricongiunge con la strada forestale nei pressi di una cascata del rio Uqua. Ripresa la strada, in pochi minuti siamo al rifugio Nordio; la strada in alcuni punti è ghiacciata e dobbiamo fare un po’ di attenzione, il rifugio è aperto e decidiamo di fare un beve pausa caffè. Appena dietro il rifugio, a quota 1410 metri, ritroviamo il sentiero (CAI 507) che attraversa nuovamente il Rio Uqua su di un ponticello e sale a tornanti in un bosco rado di abete rosso. Il sentiero in alcuni punti è ghiacciato, ma prestando attenzione è possibile camminare su neve non ghiacciata che fornisce un buon grip, calzare i ramponi a 12 punte sarebbe davvero eccessivo. Man mano che saliamo il bosco si fa più fitto e la pendenza del sentiero cala, ora al suolo non c’è più ghiaccio e possiamo salire più spediti; alcune forti raffiche di vento iniziano a scuotere le cime e a far scricchiolare i tronchi. Dopo poco più di mezz’ora di cammino dal rifugio, il bosco improvvisamente si fa più rado fino a scomparire quando si incontra l'ampio e bellissimo pascolo di malga Bistrizza (1718 m.). Una volta fuori dal bosco veniamo colpiti da forti raffiche di vento freddo, raggiungiamo quindi rapidamente il villaggio austriaco di Feistrizer Alm (1700 m.) per trovare un po’ di riparo e decidere cosa fare. Da quando abbiamo abbandonato il bosco la quantità di neve è aumentata, nelle zone dove non batte il sole ci sono parecchi centimetri ma la copertura non è omogenea. Dopo una rapida consultazione decidiamo di rinunciare alla cima e attraverso una vecchia mulattiera di guerra, ci incamminiamo verso la cappella della Madonna della Neve (1750 m.), bellissima chiesetta edificata nel 1911 da un carinziano di Festritz a.d. Gail. In dieci minuti raggiungiamo l'edificio, dal quale si può ammirare uno splendido panorama sui monti delle Alpi Giulie, della catena della Caravanche e sulla valle del Gail. Qui il vento è meno forte e al sole non fa troppo freddo, decidiamo quindi di fare una breve pausa e mangiare uno spuntino. Consultando la carta noto che è possibile chiudere un anello passando per sella Pleccia, ma non conoscendo il sentiero e vista la presenza di ghiaccio sui versanti a nord decidiamo di ritornare a valle per la strada dell’andata. Affrontiamo di nuovo le raffiche di vento da sella Bistrizza fino all’interno del bosco, scendiamo cauti nei tratti ghiacciati e siamo di nuovo al rifugio Nordio; non ci resta che percorrere la strada e l’ultimo tratto di sentiero fino al parcheggio.
Resoconto: Facile itinerario percorribile anche con le ciaspole in caso di buon innevamento. Il giro può essere allungato con la salita al monte Osternig, dalla Sella Bistrizza in prossimità del villaggio alpino (Feistrizer Alm) si può prende il sentiero CAI 481 che permette di raggiungere la cima in un'ora. Dalla chiesetta si può chiudere un percorso ad anello per tornare al parcheggio, transitando per forcella Pleccia proseguendo sul sentiero CAI 507. Per raggiungere il punto di partenza, da Ugovizza si imbocca la rotabile che risale il vallone omonimo, si percorre tutta la strada per arrivare al parcheggio dove termina il tratto consentito agli automezzi.
L’inverno per ora mite e le scarse nevicate, fanno sì che a fine dicembre sia possibile raggiungere la quasi totalità delle cime della catena carnica. La meta prefissata sarà il Cimone di Crasulina, che raggiungeremo dal versante di Cleulis, risalendo il vallone che porta a forca di Tierz. Risaliamo in auto la stretta strada che porta a Malga Lavareit fino all’ultimo tornante prima che la strada diventi sterrata (1.270 mt). Lasciata l’auto nello spiazzo adiacente al tornante ci incamminiamo sulla strada forestale che sale alla malga, tratti brinati si alternano a tratti sterrati fino a che giungiamo al bivio con il sentiero CAI 155, proveniente da Stavoli Frochies e che prosegue verso casera Monte Tierz bassa. Al bivio deviamo a sinistra seguendo il sentiero, superiamo alcuni schianti e in breve siamo fuori dal bosco. Camminiamo ora in un pascolo e in pochi minuti raggiungiamo la casera Monte Tierz bassa (1.530 mt), dove si apre uno splendido panorama sulla Creta di Timau e i monti lì intorno. Alcuni caprioli solcano rapidamente i pascoli per rifugiarsi nel bosco mentre continuiamo la nostra salita verso forca di Tierz. Il sentiero taglia il versante meridionale del monte Terzo lungo quella che sembra una vecchia mulattiera e ci porta fino a casera Monte Tierz bassa (1.670 mt); camminiamo ora in ombra e il quantitativo di neve presente al suolo inizia a rendere più faticosa la camminata. Il quantitativo di neve fresca nel vallone è decisamente discreto, la salita alla forcella risulta faticosa; in alcuni casi si sprofonda quasi fino al ginocchio. Giunti alla forcella (1.880 mt) si apre davanti a noi una splendida visuale verso la dorsale del monte Floriz e il gruppo del Coglians, al bivio giriamo a sinistra seguendo il CAI 175 che con un traverso taglia il versante nord del Cimone sbucando nei pressi dei laghetti di Zoufplan. Nonostante la neve, la traccia del sentiero è ben intuibile e senza troppi problemi giungiamo rapidamente a scollinare a quota 1.966 metri. Giunti sulla strada, che parte da Pian delle Streghe, non ci resta che seguirla fino all’imbocco della traccia che porta sulla sommità del Cimone di Crasulina (2.104 mt). I laghetti sono completamente ghiacciati ma la copertura nevosa dei versanti a sud è davvero misera, in lontananza la pianura è completamente avvolta da un mare di nubi, davvero uno spettacolo. In circa un quarto d’ora siamo sulla cima dove la nostra vista può spaziare dalle Alpi Giulie fino alle Dolomiti. Dopo numerose foto ed un veloce spuntino, decidiamo di ritornare all’auto passando per malga Lavareit, aggirando quindi il monte Terzo. Rientrati a forcella di Tierz per lo stesso percorso, iniziamo la discesa verso casera Chiaula andando a “naso” nella neve fresca. Perdiamo rapidamente quota, superiamo una macchia di ontani e continuiamo a scendere finché non ritroviamo i segnavia. Ripreso il sentiero giungiamo nei pressi di un edificio chiuso (1.560 mt) dal quale parte una strada, è quella che porta a malga Lavareit. La strada ci costringe ad una breve risalita che permette di portarci sul versante nord del monte Terzo; la vista ora si apre sul passo di Monte Croce Carnico. Il panorama è davvero imponente, si può spaziare dalla Creta di Timau fino al gruppo Coglians – Chianevate, dominando l’intera parte dell’alta valle del But. In breve giungiamo a malga Lavareit (1.470 mt) e proseguiamo lungo la carrareccia, che tra saliscendi ed alcune zone di bosco danneggiate dall’evento calamitoso di fine ottobre, ci riporta al bivio con il CAI 155. Ancora una decina di minuti sulla stessa strada e siamo nuovamente all’auto. Resoconto: Itinerario senza difficoltà tecniche che permette di raggiungere uno o due cime molto panoramiche. Il percorso ad anello permette di non rientrare al punto di partenza con lo stesso itinerario, e quando malga Lavareit è aperta ci si può fermare per una sosta o per acquistare prodotti caseari.
Dopo quasi un anno torniamo sulle pendici del monte Nero (Krn), questa volta per salire sul monte Rosso (Batognica) e compiere un percorso ad anello attraverso il vallone Peski po Lužnici fino al monte Maselnik, per poi rientrare al punto di partenza. Il punto di partenza dell'escursione è il parcheggio del rifugio koca planina Kuhinja (992 m) sopra il paese di Krn. Dal parcheggio seguiamo verso sinistra la larga carrareccia che conduce velocemente al rifugio Koca na Planini Kuhinja (1.002 m) dove inizia una traccia segnata (bollini rossi), che sale l'infinito e uniforme pendio erboso del versante sud del monte Nero. La prima parte di salita è dolce, attraversiamo i pascoli e superiamo alcune recinzioni fino alla Planina Zaslap (1.240 m). Nonostante sia novembre sono ancora presenti alcune mucche al pascolo che brucano l’erba ormai ingiallita. Superata l’ultima malga ci raccordiamo con la vecchia mulattiera di guerra, che con pendenza costante ci porta a lambire prima il margine sud-ovest del monte Nero, splendida vista sulla valle di Caporetto e poi ci conduce verso la sella Krnska škrbina. Fin ora il meteo è stato interlocutorio, umidità, nuvole basse e sprazzi di sole ci hanno accompagnato fino a questo punto, poco male visto le temperature decisamente fuori stagione per l’inizio di novembre! Dopo due ore dalla partenza siamo a sella Krnska škrbina (2.050 m), importante crocevia di sentieri, che permette il collegamento tra la Val Lepena e la valle di Krn-Kobarid. Da questo punto si apre una splendida vista verso nord sulle le Alpi Giulie slovene, inoltre ci sono numerosi reperti di guerra con cartelli esplicativi. Dopo una breve pausa ripartiamo e in pochi minuti raggiungiamo uno dei punti più suggestivi dell'intera escursione; la scalinata intagliata nella roccia realizzata degli alpini. I gradini scavati direttamente sulla parete verticale permettono di superare agevolmente il costone roccioso sul versante meridionale, offrendo un suggestivo passaggio, reso sicuro dalla presenza di un cavetto metallico. Al termine della scalinata, sulla sinistra, si trova un'iscrizione in latino scolpita su una pala rocciosa, eseguita dal Battaglione alpino Val Tanaro, a ricordo dei commilitoni caduti. Continuiamo la salita, tra detriti e roccette, superando diversi ricoveri e fortificazioni italiane fino a raggiungere l’ampio plateau roccioso dove si trova la cima del monte Rosso (2.165 m). Anche da questa cima la vista è di tutto rispetto e solo verso nord ovest è leggermente limitata dal più alto Krn. Il sentiero prosegue verso est senza difficoltà sulla larga e pianeggiante sommità, ricca di fortificazioni, gallerie e ruderi. Raggiunto l'orlo orientale scendiamo verso l'ampia e panoramica Sella Prag (2.068 m), crocevia di diversi sentieri tra cui quello che scende verso il vallone Peski po Lužnici. Camminiamo immersi in un ambiente roccioso con ampi ghiaioni, il sentiero in leggera discesa ci conduce fino ai piedi del monte Škofic dove si trova il suggestivo laghetto di Jezero v Lužnici (1.801 m). L’ambiente in cui ci muoviamo è cambiato completamente rispetto a quello percorso in salita, ora domina la candida roccia calcarea e un po’ di neve rende più suggestivo il paesaggio. Superiamo il laghetto risalendo una piccola sella tra i monti Škofic e Maselnik, da questo punto iniziamo la ripida discesa finale, prima attraverso una conca rocciosa e in seguito, deviando a destra, lungo un ripido canalone erboso tra le montagne Maselnik e Veliki Stador. Con una lunga serie di stretti tornanti perdiamo quota fino a raggiungere la Planina Leskovca da dove parte la carrareccia che torna verso Planina Kuhinja. La tranquilla discesa su carrareccia ci permette di osservare agevolmente l’intero altipiano di Krn, costellato da piccole malghe e boschetti tinti dei colori autunnali. In una ventina di minuti siamo di nuovo al punto di partenza, stanchi ma molto soddisfatti per aver completato questo lungo e appagante anello. Resoconto: L’itinerario non presenta grosse difficoltà tecniche, l’unico punto critico può essere la scalinata degli alpini, che però è stata assicurata mediante cavetto metallico. L’itinerario è lungo e faticoso, con un dislivello importante e quindi va affrontato solo con un adeguato allenamento e con un numero di ore di luce idoneo a concludere il giro prima del sopraggiungere del buio.
Traccia GPS:
Verso fine primavera sono venuto a sapere che il rifugio ANA Monteaperta sarebbe stato aperto ogni giorno durante la bella stagione (estate 2018), diventando a tutti gli effetti un rifugio gestito. Mi sono quindi ripromesso che sarei passato almeno una volta prima della chiusura autunnale. Il primo tentativo di salita al rifugio, compiuto a luglio partendo da Montemaggiore è fallito a causa del peggiorare delle condizioni meteo nei pressi di Punta di Montemaggiore. Giunto al 20 di settembre ho deciso che dovevo tentare di nuovo, anche se le previsioni meteo per la domenica non erano molto favorevoli. Questa volta per la salita ho deciso di partire dal passo di Tanamea, seguire il CAI 711, poi il 711a e infine una vecchia traccia che passa per i ruderi degli stavoli Cecchin, risegnata proprio quest'anno con bolini rossi da Alessandro, il gestore del rifugio. Una volta sveglio guardo fuori dalla finestra e il tempo non è dei migliori, la catena del Gran Monte è completamente coperta dalle nubi, pioviggina e non si vedono spiragli di bel tempo. Decido comunque di partire verso Tanamea, magari per strada il tempo migliora. A Tarcento pausa caffè, qui non piove e la strada è asciutta. Dopo mezz'oretta sono a Tanamea dove lascio l'auto poco prima del divieto di transito nei pressi della vecchia pista da sci. Il primissimo tratto consiste in una strada forestale che seguo fino ad un guado dopo il quale giro a destra seguendo il cartello per il rifugio. La giornata è uggiosa e molto umida, sono equipaggiato per la pioggia ma in cuor mio spero proprio di non prenderla. In circa venti minuti raggiungo il primo bivio dove giro a sinistra per intraprendere un lungo traverso nel bosco di faggio accompagnato dai numerosi bramiti dei cervi. Il sentiero è sempre ben segnato e visibile sul terreno, a tratti presenta una buona pendenza e ci sono dei punti rovinati che devo affrontare con attenzione. Giunto a quota 1.100 metri trovo le indicazioni per il rifugio attraverso il CAI 711a e le indicazioni messe da Alessandro per il sentiero bollinato. Decido di seguire quest’ultimo; sul terreno la traccia non è molto visibile ma sono presenti molti bollini che seguo con attenzione per non perdere la via. Continuo per un tratto fino a giungere ad una nuova indicazione per il rifugio, mantengo alta la concentrazione per non perdere i bollini e per non scivolare, il suolo è ricoperto da foglie ed è molto umido. Continuo su salita più decisa sempre più avvolto dall’umidità fino a che, terminato il bosco, raggiungo i ruderi di alcune vecchie casere. Qui il sentiero migliora decisamente, sul terreno è facilmente individuabile la traccia che in circa mezz’ora mi porta nei pressi del rifugio. La nebbia è molto fitta, la visibilità dovrebbe essere intorno ai venti metri, è decisamente inutile proseguire fino in cresta. Decido quindi di raggiungere il rifugio dove vengo accolto sulla soglia da Alessandro che mi invita ad entrare. Il rifugio è molto grande ed è diviso in due parti, una è sempre aperta e adibita a ricovero di emergenza, mentre la parte più ampia è gestita come un qualsiasi rifugio alpino. Alessandro è molto simpatico e pieno di idee, mi fermo a chiacchierare con lui per un po’ e alla fine mi fermo anche per pranzo. Dopo un bel piatto di pastasciutta riparto per tornare a valle sempre immerso nella nebbia, per il rientro prendo il CAI 711a, anche questo ben segnato ma un po’ rovinato in alcuni punti a causa della natura franosa del terreno. Perdendo quota esco dalla nebbia ma l’umidità resta alta e per il periodo continua a fare caldo, in circa un’ora e mezza sono di nuovo all’auto; non mi resta che guidare fino a casa.
Resoconto: Il versante nord della catena del Gran Monte, a differenza di quello sud, è coperto da boschi ed è molto scosceso, i sentieri che si inerpicano su questo versante sono a tratti molto ripidi e rovinati a causa del substrato e della forte pendenza. Il sentiero bollinato non presenta particolari difficoltà tecniche, i segnali sono molto ricorrenti e dopo la metà è ben visibile anche al suolo; consiglio di percorrerlo in giornate asciutte o se bagnate meglio farlo in salita.
Rifugio ANA Monteaperta: https://www.facebook.com/rifugioanamonteaperta/ La Forra del Cellina è uno spettacolare canyon formato da ripide pareti rocciose che precipitano verticalmente nelle acque cristalline dell'omonimo torrente. Governato da due dighe artificiali, quella di ponte Antoi a monte e la diga di Ravedis a valle, il torrente è navigabile per un buon tratto permettendo di osservare da una particolare prospettiva la forra scavata dall'acqua. Il ritrovo è fissato presso il locale "Al Castelu" a Montereale Valcellina dove incontriamo Claudio, la nostra giuda, e gli altri partecipanti all'attività di oggi. Dopo un caffè e le presentazioni partiamo per raggiungere il punto di partenza della nostra escursione in canoa. In pochi minuti risaliamo la strada che porta a Barcis e superata la prima galleria parcheggiamo le auto sulla destra nei pressi di un ampio spiazzo. Visto che questo è il secondo turno della giornata le canoe ci attendono già sulle rive del bacino e quindi ci incamminiamo su comoda strada fino sulla sponda. Il colore dell'acqua è davvero spettacolare, il sole splende e la temperatura è perfetta per una gita in canoa. Per prima cosa indossiamo i salvagenti e i caschetti (forniti), una volta pronti Claudio ci spiega come salire, scendere e governare le canoe; in teoria tutto facile, vedremo poi una volta in acqua! Formate le triplette (le canoe canadesi sono da tre posti) è finalmente giunto il momento di imbarcarsi; si sale uno alla volta e appena pronti veniamo spinti in acqua. Le prime pagaiate sono un po' goffe ma presto capiamo come funziona, effettivamente non c'è nulla di complicato. Una volta pronti partiamo in direzione della forra seguendo la canoa di Claudio; all'inizio non sempre andiamo dritti ma ben presto l'affiatamento dell'equipaggio migliora e la nostra traiettoria diventa sempre più rettilinea. Superato il viadotto della strada per Barcis le sponde iniziano a restringersi e in breve siamo nella forra. Sulla parete sinistra ad una ventina di metri sopra di noi possiamo ammirare la vecchia strada della Valcellina, che dal 1906 al 1992 era l’unico collegamento della valle con la pianura friulana. La strada sarà nostra compagna per tutta la navigazione che durerà circa un ora e mezza, con delle soste per riposare ed ascoltare Claudio sulle peculiarità geologiche naturalistiche del territorio. Il punto d'arrivo dell'escursione è una spiaggetta naturale dove ci fermiamo per un paio di foto. Per il rientro percorriamo a ritroso la strada dell'andata; il percorso è esattamente lo stesso ma ti assicuro che non ci si può annoiare, anzi visto nell'altro verso il canyon è ancora più spettacolare e imponente.
La cosa che mi ha più colpito, oltre alla bellezza del canyon, è l'assoluto silenzio; un silenzio che al giorno d'oggi è difficile trovare anche nelle valli più sperdute. Smettendo di remare è possibile immergersi in un mondo calmo e tranquillo, in cui l'unico rumore è il rilassante gorgoglio di alcune cascatelle che dai versanti scoscesi si tuffano nell'acqua verde smeraldo del Cellina. Utilizzando la canoa è possibile ammirare il canyon da un punto di vista nuovo, completamente diverso da come solitamente si vede dai versanti o dai punti panoramici; un esperienza adatta a tutti e priva di difficoltà che mi sento di consigliare a tutti. Info su canoa FVG: Guidanaturalistica.it |
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Gennaio 2020
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