Superata Valbruna risaliamo la parte bassa della Val Saisera, lasciamo sulla destra la ex polveriera, attraversiamo il ponte fino a raggiungere il parcheggio della Malga Saisera nei pressi di una cappella, dove lasciamo l’auto. La prima cosa che notiamo è la neve presente al suolo, che dona al bosco ed ai versanti un aspetto tipicamente invernale, assente per ora in molte delle nostre vallate. Proprio dietro la cappelletta imbocchiamo il sentiero che porta al rifugio Grego, il sentiero risale il bosco di faggio incontrando la strada forestale un paio di volte finché usciti dal bosco vediamo il rifugio. Facciamo una rapida pausa per ammirare le pareti nord del Montasio e l’imponente nicchia di frana sulla parete nord del Buinz. Imbocchiamo il cai 651 dietro il Grego, ora la copertura nevosa del suolo si fa più presente, la traccia è già battuta e in breve ci troviamo a costeggiare il laghetto di Somdogna ghiacciato. Ancora qualche minuto e raggiungiamo il bivio con il sentiero cai 610, che porta in cima allo Jof di Somdogna. Prima di continuare sul 610 decidiamo di calzare le ghette, ora la copertura nevosa è maggiore e sembra che nessuno abbia intrapreso il sentiero prima di noi. Fino a quota 1.600 metri risaliamo il pendio con diverse svolte e alcuni tratti ripidi, non si sprofonda molto nella neve e riusciamo a tenere un buon passo. Giunti nei pressi dei ruderi di un edificio militare il bosco si apre in una piccola radura e possiamo scorgere la croce di vetta, ora il sentiero è meno ripido ma la quantità di neve al suolo aumenta. Proseguiamo con alcuni sali scendi fino ad un traverso che superiamo con un po’ di attenzione, verso quota 1750 metri il sentiero ritorna ad essere più ripido così decidiamo di calzare i ramponi. Risaliamo decisi il canalino fino ad una selletta dove si apre una splendida vista sul Montasio; continuiamo la salita tra i mughi, ora siamo un po’ esposti, dobbiamo prestare la massima attenzione a non scivolare. Continuiamo e facciamo molta attenzione a dove piantiamo i ramponi, la neve c’è ma la roccia non è del tutto coperta. Un ultimo sforzo ed ecco le prime costruzioni della Grande Guerra, alcuni muretti e il piccolo rifugio Köpfach ricavato da un vecchio osservatorio. La cima dista pochi minuti, non appena la raggiungiamo veniamo investiti da alcune forti raffiche di vento gelato. Abbiamo giusto il tempo per ammirare la splendida vista a 360 gradi sulle Giulie e sui monti del tarvisiano e poi riscendiamo verso i ruderi del versante ovest per cercare riparo dal vento. Giunti nei pressi di un vecchio edificio, aggiriamo la cima verso sud passando per i vecchi camminamenti e attraverso le trincee; non oso immaginare quanto abbiano sofferto i soldati cento anni fa. Ritornati al ricovero Köpfach ci concediamo una pausa panino che dura fin quando il sole sparisce dietro il Re e la temperatura da accettabile diventa gelida. Con molta attenzione riscendiamo fino alla selletta e poi giù velocemente fino al bivio per lo stesso percorso dell’andata. Superato il laghetto in breve siamo al Grego, il rifugio è aperto e decidiamo di concederci una birra, la vista che si gode dalla sala del rifugio è davvero notevole e al caldo della stufa si sta proprio bene. Finita la birra a malincuore ripartiamo per raggiungere l’auto, un po’ di attenzione nei tratti ghiacciati e siamo di nuovo nel parcheggio di Malga Saisera. Resoconto: Itinerario ricco dal punto di vista storico, facile da percorrere nella bella stagione, diventa più impegnativo in invernale. Gran parte del percorso si svolge su versante nord, in caso di molta neve si possono utilizzare le ciaspole fino a quota 1700 metri, poi meglio proseguire con i ramponi.
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Dopo quasi un anno torniamo sulle pendici del monte Nero (Krn), questa volta per salire sul monte Rosso (Batognica) e compiere un percorso ad anello attraverso il vallone Peski po Lužnici fino al monte Maselnik, per poi rientrare al punto di partenza. Il punto di partenza dell'escursione è il parcheggio del rifugio koca planina Kuhinja (992 m) sopra il paese di Krn. Dal parcheggio seguiamo verso sinistra la larga carrareccia che conduce velocemente al rifugio Koca na Planini Kuhinja (1.002 m) dove inizia una traccia segnata (bollini rossi), che sale l'infinito e uniforme pendio erboso del versante sud del monte Nero. La prima parte di salita è dolce, attraversiamo i pascoli e superiamo alcune recinzioni fino alla Planina Zaslap (1.240 m). Nonostante sia novembre sono ancora presenti alcune mucche al pascolo che brucano l’erba ormai ingiallita. Superata l’ultima malga ci raccordiamo con la vecchia mulattiera di guerra, che con pendenza costante ci porta a lambire prima il margine sud-ovest del monte Nero, splendida vista sulla valle di Caporetto e poi ci conduce verso la sella Krnska škrbina. Fin ora il meteo è stato interlocutorio, umidità, nuvole basse e sprazzi di sole ci hanno accompagnato fino a questo punto, poco male visto le temperature decisamente fuori stagione per l’inizio di novembre! Dopo due ore dalla partenza siamo a sella Krnska škrbina (2.050 m), importante crocevia di sentieri, che permette il collegamento tra la Val Lepena e la valle di Krn-Kobarid. Da questo punto si apre una splendida vista verso nord sulle le Alpi Giulie slovene, inoltre ci sono numerosi reperti di guerra con cartelli esplicativi. Dopo una breve pausa ripartiamo e in pochi minuti raggiungiamo uno dei punti più suggestivi dell'intera escursione; la scalinata intagliata nella roccia realizzata degli alpini. I gradini scavati direttamente sulla parete verticale permettono di superare agevolmente il costone roccioso sul versante meridionale, offrendo un suggestivo passaggio, reso sicuro dalla presenza di un cavetto metallico. Al termine della scalinata, sulla sinistra, si trova un'iscrizione in latino scolpita su una pala rocciosa, eseguita dal Battaglione alpino Val Tanaro, a ricordo dei commilitoni caduti. Continuiamo la salita, tra detriti e roccette, superando diversi ricoveri e fortificazioni italiane fino a raggiungere l’ampio plateau roccioso dove si trova la cima del monte Rosso (2.165 m). Anche da questa cima la vista è di tutto rispetto e solo verso nord ovest è leggermente limitata dal più alto Krn. Il sentiero prosegue verso est senza difficoltà sulla larga e pianeggiante sommità, ricca di fortificazioni, gallerie e ruderi. Raggiunto l'orlo orientale scendiamo verso l'ampia e panoramica Sella Prag (2.068 m), crocevia di diversi sentieri tra cui quello che scende verso il vallone Peski po Lužnici. Camminiamo immersi in un ambiente roccioso con ampi ghiaioni, il sentiero in leggera discesa ci conduce fino ai piedi del monte Škofic dove si trova il suggestivo laghetto di Jezero v Lužnici (1.801 m). L’ambiente in cui ci muoviamo è cambiato completamente rispetto a quello percorso in salita, ora domina la candida roccia calcarea e un po’ di neve rende più suggestivo il paesaggio. Superiamo il laghetto risalendo una piccola sella tra i monti Škofic e Maselnik, da questo punto iniziamo la ripida discesa finale, prima attraverso una conca rocciosa e in seguito, deviando a destra, lungo un ripido canalone erboso tra le montagne Maselnik e Veliki Stador. Con una lunga serie di stretti tornanti perdiamo quota fino a raggiungere la Planina Leskovca da dove parte la carrareccia che torna verso Planina Kuhinja. La tranquilla discesa su carrareccia ci permette di osservare agevolmente l’intero altipiano di Krn, costellato da piccole malghe e boschetti tinti dei colori autunnali. In una ventina di minuti siamo di nuovo al punto di partenza, stanchi ma molto soddisfatti per aver completato questo lungo e appagante anello. Resoconto: L’itinerario non presenta grosse difficoltà tecniche, l’unico punto critico può essere la scalinata degli alpini, che però è stata assicurata mediante cavetto metallico. L’itinerario è lungo e faticoso, con un dislivello importante e quindi va affrontato solo con un adeguato allenamento e con un numero di ore di luce idoneo a concludere il giro prima del sopraggiungere del buio.
Traccia GPS:
Il Monte Flop fa parte del gruppo Sernio - Grauzaria, nelle Alpi Carniche e dalla sua cima è possibile dominare gran parte della Val d'Aupa, vallata che da Moggio Udinese si estende sino alla Sella di Cereschiatis. Si tratta di una montagna massiccia, ricoperta da mughi, che chiude a nord il vallone di Flop fronteggiando le pareti settentrionali della Creta Grauzaria. L'altro versante si affaccia invece sulla val d’Incarojo e sulla conca di Paularo. Il ritrovo è fissato per le 8:30 all’hotel Carnia e dopo un caffè veloce partiamo per la val Aupa; superato Moggio Udinese e percorsa per un buon tratto la strada che porta a sella Cereschiatis lasciamo l’auto nei pressi del ponte sul Rio Fontanaz. Indossati gli scarponi risaliamo la strada asfaltata fino a raggiungere località case Nanghez, da dove parte la mulattiera con segnavia CAI 437 che porta al rifugio Grauzaria; la giornata è splendida ma molto calda, la prima parte per fortuna è interamente nel bosco e questo allevia almeno in parte le pene della salita. Il sentiero risale piacevolmente il bosco fino a quando raggiungiamo un vecchio pascolo dove la vista si apre all’improvviso sull’imponente (e suggestiva) Sfinge della Grauzaria. In breve attraversiamo il Rio Fontanaz e siamo al rifugio Grauzaria, glorioso rifugio alpino di quelli di una volta, si raggiunge solamente a piedi e le provviste arrivano in teleferica. Dopo aver bevuto una birra e scambiato due parole con il nuovo gestore proseguiamo con il CAI 437 in direzione del Foran da la Gjaline che raggiungiamo in una quarantina di minuti passando prima in un bel bosco di faggi e poi in quello che resta del vecchio pascolo dell’antica casera Foran da la Gjaline. Dalla sella si apre una splendida vista sulla parete orientale del monte Sernio e si scorge anche il ricovero del Mestri. Dal Foran proseguiamo verso est su una vecchia mulattiera che ci permette di attraversare in quota tutto il versante erboso che sovrasta la val Aupa, fino alla sella posta tra le due cime del monte Flop. Poco prima della sella deviamo sulla traccia che si stacca sulla nostra sinistra e prima su crinale erboso e dopo tra i mughi raggiungiamo in breve la panoramica cima est del monte Flop (1.715 m). Splendido è il panorama sul gruppo Sernio - Grauzaria ma anche sulla Creta di Aip e sul Monte Cavallo di Pontebba, sul gruppo del Zuc dal Bor, sullo Zermula e sulle splendide Val Aupa e Valle d’Incaroio. Con calma e con la pausa al rifugio ci abbiamo messo poco meno di tre ore per raggiungere la cima, ora è giunto il momento di mangiare qualcosa e fermarsi un attimo ad ammirare il panorama. Purtroppo la nostra sosta non dura molto, verso nord le nuvole iniziano ad addensarsi e sembra proprio che verso Paularo stia già piovendo. Ripercorriamo il sentiero a ritroso fino alla sella tra le due cime del Flop e proseguiamo sulla destra; per un bel tratto il sentiero corre aereo con visuale aperta, poi all’improvviso entriamo nel fitto bosco che precede la forca Zouf di Fau, sbucando infine sulla strada sterrata che ci porta in breve al ricovero Zouf di Fau. Il ricovero è situato in una bella radura posta sotto la parete del monte Flop; firma al libro della casera e si riparte, il pericolo pioggia non è ancora scongiurato. Ci ributtiamo nel bosco di faggio dove il sentiero a tratti è molto ripido, incrociamo e seguiamo per un tratto la forestale che sale a forca Griffon e infine costeggiamo il rio Chialdercis. Finito il sentiero siamo nei pressi delle case di Gialloz, ancora qualche passo su strada asfaltata e siamo di nuovo dove abbiamo lasciato l’auto la mattina.
Resoconto: Itinerario ad anello abbastanza lungo come chilometraggio e con più di mille metri di dislivello, indicato quindi per persone allenate. L’anello lo si può percorrere indifferentemente in senso orario o antiorario; il rifugio Grauzaria è aperto nel periodo estivo, mentre la casera Zouf di Fau è sempre aperta (cinque letti con materassi). Una variante più semplice adatta a tutti è la salita al rifugio Grauzaria dalla località case Nanghez dove si può lasciare l’auto, in questo caso andata e ritorno avvengono sullo stesso sentiero, il CAI 437.
“Il Montasio è il più grande e possente. Da qualunque parte lo si guardi non si troverà un lato che per via di aggruppamenti lo faccia apparire mediocre o meschino…e quando appare, non si ricorre alla carta per identificarlo: è lui, non c'è dubbio, è il Montasio”. J. Kugy Messi gli scarponi e indossato lo zaino iniziamo la nostra escursione poco distante dal agriturismo Malga Montasio (1500 mt); senza cercare la traccia tagliamo per i pascoli verso Forca dei Disteis. Dopo mezz'oretta e un paio di marmotte infastidite incrociamo il sentiero di salita che arriva dal rifugio di Brazzà. Ora la pendenza aumenta e il sentiero prosegue altalenante fino alle strette svolte proprio sotto la forca dei Disteis (2201 mt). Siamo in marcia da più di un'oretta e purtroppo, a differenza di quando siamo partiti, diversi nuvoloni bianchi e molto veloci ci nascondono lo splendido panorama sulle imponenti bancate calcaree del Montasio. Arrivati alla Forca il sentiero sfiora un impressionante gola dove alcuni stambecchi si muovono agilmente facendo rotolare in basso una gran quantità di pietre. Continuiamo a salire ora su ghiaia, fino alla deviazione che ci porta a tagliare con un traverso il ghiaione per raggiungere la base delle grandi pareti rocciose del Montasio. Ora siamo proprio sotto le pareti rocciose, è giunto il momento di indossare il casco; iniziamo a salire il sentiero che zigzagante prosegue verso destra e ci permette di superare alcuni gradoni rocciosi. Continuiamo a seguire i bolli rossi che ci indicano la via, lasciata sulla destra la deviazione per il sentiero Leva ci infiliamo in un canalone che ci porta fino alla base della scala Pipan (2550 mt). All'attacco lo spazio non è molto ma riusciamo comunque ad indossare gli imbraghi; siamo immersi in una nube che rende l'atmosfera cupa e freddolosa, verso l'altipiano ogni tanto si apre qualche scorcio di panorama. L'attacco è composto da alcuni pioli per superare uno sperone roccioso, poi inizia la vera e propria scala: due grosse funi metalliche lunghe un centinaio di metri sulle quali sono stati fissati i pioli. Superato il primo tratto lasciamo passare alcune persone in discesa per poi percorrere l'ultimo spezzone della scala. Giunti alla fine superiamo l'ultimo tratto roccioso aiutati in parte da funi metalliche fino a raggiungere la cresta sommitale. Camminiamo ora sul filo di cresta, gli strapiombi sono colmi di nubi che però verso nord sono meno insistenti e permettono di ammirare i monti della val Dogna, Saisera e del tarvisiano. Dopo circa 15 minuti dal termine della scala, siamo in cima (2753 mt). Dopo un po' decidiamo di ripartire scendendo per il canalone Findenegg; dalla vetta proseguiamo camminando verso ovest su di una porzione di cresta magnifica, aerea e molto esposta dove bisogna prestare attenzione anche se la via è piuttosto larga. Superata una prima parte relativamente facile il percorso si fa più impegnativo, con salti di roccia e piccoli passaggi di primo grado che oltrepassiamo con calma e molta attenzione. Lungo il canalone è difficile non far cadere un po' di sassi, probabilmente la salita da questa via sarebbe stata più semplice. Usciti dal canalone percorriamo delle cenge aeree collegate da brevi passaggi di primo grado, ancora qualche salto di roccia e infine incrociamo il sentiero che arriva dalla cengia Grande. Qui le nuvole sono meno insistenti e possiamo godere di una splendida vista sui Curtissons e sul monte Zabus; a questo punto una visita al bivacco Suringar (2430 mt) è d'obbligo. Da questo punto in poi le difficoltà tecniche calano, ad ogni modo l'attenzione va tenuta alta; torniamo sui nostri passi fino al bivio per il canalone Findenegg e proseguiamo dritti per imboccare la Grande Cengia. Puntiamo decisi la Torre Disteis che aggiriamo per portarci sul lato sud del massiccio, ancora qualche passaggio delicato su roccia e balze erbose e siamo di nuovo nei pressi di forca Disteis. Per rientrare all'altopiano decidiamo di divertirci un po' sfruttando il ghiaione pensile; con rapidi balzi scivoliamo sulle ghiaie perdendo rapidamente quota e raggiungendo ben presto la zona erbosa. Da qui tocca camminare, ripreso il sentiero dell'andata in circa quaranta minuti siamo di nuovo al parcheggio.
Resoconto: Itinerario per escursionisti esperti con tratti attrezzati (EEA) che alterna una prima parte su sentiero facile e una seconda parte in ambiente roccioso dove serve passo sicuro. Consiglio di seguire l'itinerario in modo inverso a quanto sopra descritto; ritengo sia più semplice percorrere il canalone Findenegg in salita.
La zona di Forni non la conosco più di tanto, per cui quando i miei amici hanno proposto Cima Camosci ho accettato di buon grado e mi sono presentato puntuale alle 8:00 presso la piscina di Tolmezzo. Dopo un rapido caffè a Villa e trenta minuti di strada eccoci finalmente a Forni di Sotto, dove lasciamo la statale per raggiungete il guado sul Tagliamento in località Vico. L' itinerario inizia subito dopo il greto del Tagliamento sulla carrareccia che porta agli stavoli Crovares (710 m) e poi continua inoltrandosi nella Val Poschiadea (CAI 364). Tale strada immersa in un bosco di faggio misto ad altre essenze, tra cui anche delle conifere (pino Silvestre), si insinua nella valle con pendenze modeste fino ad un paio di tornanti dopo i quali abbandoniamo la strada per proseguire su sentiero che ci porta fin sul greto del torrente. Fin qui il percorso è abbastanza intuitivo anche se i segnavia sono radi e diversi cartelli del parco sono oramai divelti dai loro pali. Giunti in corrispondenza di una briglia attraversiamo il rio Poschiadea portandoci sulla sua destra orografica, la traccia percorre il versante in parallelo al corso d'acqua fino al bivio col sentiero che sale verso il monte Chiarescons; noi prendiamo a destra scendendo di nuovo sul greto del torrente. In questa zona gli effetti dell'erosione sono davvero imponenti, davanti a noi appare un franamento di circa cento metri che ci obbliga ad un aggiramento dall'alto per ritrovare la traccia del sentiero che ora risale la Valle dell'Orso, inizialmente nel bosco poi tra gli arbusti di pino mugo. Man mano che prendiamo quota la vegetazione si fa sempre più rada, ora camminiamo in un catino erboso tappezzato da rododendri; verso nord il panorama inizia ad aprirsi fornendoci un bello scorcio sul Bivera e il Clap Savon. Il tracciato prosegue più evidente e meno ripido in direzione di forcella Lareseit; poco prima di raggiungere la forcella un frullare di ali attira la nostra attenzione, una femmina di Gallo Forcello si invola poco prima del nostro passaggio. Dalla forcella prendiamo il CAI 373a, con un paio di ripidi saliscendi oltrepassiamo gli sfasciumi dei rii che si insinuano nella valle dell'Orso e giungiamo fin sotto Cima Camosci (1.804 m) che però non raggiungiamo visto l'erba alta e la massiccia presenza di mughi. Giunti al bivio con il CAI 373 lo percorriamo in direzione nord verso il Col Masons, nella prima parte il sentiero corre panoramico in cresta, la veduta offre ampi squarci verso la Valle dell'alto Tagliamento con l'abitato di Forni di Sotto verso est, verso ovest le alte cime dei Monti Pramaggiore e Cornaget e verso nord il Tinisa, il Bivera e il Clap Savon. Dopo il tratto panoramico rientriamo nel bosco per aggirare il Col Mason e giungere all'omonima casera (1.553 m), una bella struttura recentemente ristrutturata adagiata su di un ripiano erboso. Fin qui siamo stati due ore e mezza (camminata effettiva) è giunto il momento di mangiare qualcosa e goderci un po' il sole. Per il rientro a valle riprendiamo il CAI 373, che prosegue alla spalle della casera attraverso i vecchi pascoli sommitali fino ad infilarsi nella faggeta, dove la pendenza aumenta notevolmente mettendo a dura prova le nostre ginocchia. Perdiamo quota rapidamente fino a sfiorare il margine di una zona profondamente erosa da cui si possono ammirare in tutta la loro maestosità le tre cime di Lavaredo. Il sentiero prosegue in discesa alternando tratti più o meno ripidi, incontriamo alcuni antichi pascoli e diversi edifici ormai diroccati fin che non ci immergiamo nuovamente nel bosco misto di conifere e latifoglie. Ormai siamo quasi in dirittura d'arrivo, l'ultimo tratto di sentiero lo percorriamo in piano parallelamente al Tagliamento per quasi un chilometro fino a tornare al punto di partenza. Resoconto: Itinerario molto selvaggio, soprattutto nella Valle dell'Orso e fino a casera Masons. La mancanza di una adeguata marcatura del sentiero 364 e il tratto eroso potrebbero creare dei problemi a chi a chi non sa muoversi bene nel bosco e su terreno non marcato. L'itinerario si svolge per la gran parte nel bosco in vallate ricche di acqua, ottimo da percorrere d'estate; di contro in alcuni punti l'erba è alta. Da casera Masons il sentiero è ben marcato e molto ripido.
Questa escursione è nata sostanzialmente dall’esigenza di conciliare due volontà; io volevo percorrere la forra del torrente Chiarsò, il mio amico Enrico voleva salire allo Zermula tramite il CAI 442 (Andrea non ha espresso volontà ed ha partecipato con entusiasmo). La soluzione è stata soddisfare tutte e due le volontà portando a termine un giro lunghissimo (epico oserei dire) che in certi frangenti, a causa di pessime battute dettate dalla stanchezza, ha quasi portato alla rottura di una buona amicizia. La nostra escursione (massacrante) parte da Villamezzo, frazione di Paularo, dove ha inizio il sentiero CAI 442. Nella prima parte il sentiero attraversa alcuni pascoli, poi dopo un guado, segue una vecchia mulattiera militare che attraverso il ponte Fuseit permette di raggiungere la forra denominata Las Callas. Accompagnati dal costante scrosciare dell’acqua superiamo alcuni ponticelli mantenendoci in quota rispetto al letto del fiume fino al bivio per Cuesta Robbia, dove iniziamo a scendere fino alla passerella metallica del Ponte Fuseit che ci permette passare sulla sponda sinistra del torrente Chiarsò. Superata la passerella si risale un attimo fino ad un bivio dove giriamo a sinistra per scende sul greto del torrente. Ancora alcuni minuti di sentiero e siamo di fronte all’imbocco di Las Callas; una stretta forra con pareti rocciose alte anche 200 mt che il torrente ha inciso con le sue acque impetuose. Questo è il tratto più appassionante (se non soffrite di vertigini), il sentiero scavato nella roccia risale la forra seguendo le forme sinuose delle pareti; si cammina in costante esposizione su roccia nuda accompagnati dal frastuono dell’acqua che scorre tra cascatelle, pozzi e marmitte. Superato questo tratto, interamente assicurato da una corda metallica, non ci resta che seguire il ripido sentiero per superare il dislivello che ci separa dalla rotabile per Cason di Lanza. Giunti sulla strada in prossimità dell’osteria da Nelut (1.100 mt) ci concediamo una breve sosta, questo era solo il riscaldamento; ora ci attende la salita allo Zermula. Presso l’osteria imbocchiamo di buon passo la carrareccia che conduce alla malga Zermula, alle spalle della quale il percorso continua su fondo erboso fino ad infilarsi nel bosco. Lasciamo sulla sinistra il bivio per casera Valutte e proseguiamo dritti uscendo dal bosco dopo alcuni tornanti, l’ampia mulattiera taglia il versante inerbito con comoda pendenza e permette di ammirare lo splendido panorama sulla conca di Paularo e sul gruppo del Sernio Grauzaria. Ancora alcuni tornanti per raggiungere Punta Cul di creta da dove il sentiero compie alcuni saliscendi passando vicino a gallerie e opere di guerra ormai in abbandono. Man mano che avanziamo la comoda mulattiera si trasforma in sentiero fino a raggiungere la cresta per gli ultimi metri che ci separano dalla grande croce di vetta; dopo quattro ore dalla partenza siamo in cima (2.143 mt). Il panorama di cui si può godere da questa cima è forse uno dei più appaganti in regione, la vista spazia per 360 gradi dalle Alpi Giulie alle Dolomiti fino ai ghiacciai austriaci. Abbiamo già percorso 12 chilometri e siamo solo a metà strada, Paularo è proprio sotto di noi, ma la via del ritorno sarà lunga. Dopo un’adeguata sosta ripartiamo seguendo il sentiero delle trincee che permette di visitare alcune fortificazioni del 15 – 18 e ci porta fino a forca di Lanza (1.832 mt) dove proseguiamo la discesa sempre su CAI 442 fino a forca Pizzul (1.708 mt). Da qui prendiamo il CAI 441 che in poco tempo ci porta a Casera Pizzul, la giornata non è troppo calda ma il sentiero in costante battuta di sole ci obbliga ad una pausa per riempire le borracce e riposare un pochino. Dalla casera riprendiamo il CAI 441 che dopo un tratto nel bosco si immette su di una strada forestale cementata estremamente ripida per poi tornare sentiero fino al greto del rio Turriea; ora non ci resta che percorrere l’ultimo tratto di strada che dalla frazione di Misincinis ci riporta alla macchina lasciata a Villamezzo. Resoconto:
Il giro come descritto è estremamente lungo e impegnativo sia per i chilometri che per il dislivello, praticamente abbiamo percorso due itinerari in un solo giorno. Il percorso nella forra del Chiarsò è molto particolare; adatto a tutti fino a Las Callas, per escursionisti esperti nel tratto scavato nella roccia. Una volta concluso il percorso lungo il torrente si può tornare indietro attraverso la rotabile oppure attraverso la stessa strada dell’andata. Per quanto riguarda il CAI 442 è sostanzialmente una vecchia mulattiera che sale il fianco sud ovest dello Zermula con pendenze costanti e mai eccessive. Nella parte sommitale sono presenti tracce storiche della Grande Guerra che poi continuano oltre la cima sul “sentiero delle trincee”. Il CAI 441 invece non mi è piaciuto molto a partire dalla Casera Pizzul in poi, sentiero molto ripido e con tratti sconnessi.
Il Monte Zaiavor (1.815 mt.) è situato in alta val Torre, nella parte meridionale del parco delle Prealpi Giulie ed è l’ultima elevazione importante verso est della catena dei monti Musi. La cima può essere raggiunta dal versante nord, partendo da sella Carnizza, oppure attraverso un percorso più lungo partendo da passo Tanamea. Il giro che abbiamo scelto per la giornata del primo maggio prevede la salita da passo Tanamea (850 mt.) attraverso il sentiero CAI 727 per poi rientrare con un giro ad anello passando per casera Nischiuarch. Il ritrovo è fissato con Enrico alle 8:30 in piazza a Tarcento; puntuali partiamo alla volta della Val Torre, dove dopo aver superato il Pian dei Ciclamini parcheggiamo l’auto nei pressi della vecchia caserma dei carabinieri presso il passo di Tanamea. Una volta pronti (ore 9:10) imbocchiamo il sentiero CAI 727 che ha inizio una cinquantina di metri prima del parcheggio, la traccia ampia e ben segnata risale il versante con una serie di tornanti all’interno di una faggeta. Prosegiuamo all’interno del bosco su pendenze abbastanza regolari fino a guadagnare un lungo traverso che ci porta sul versante nord del Rio Bianco; il bosco inizia a cedere in qualche punto donandoci alcuni scorci sul massiccio del Canin imbiancato dalle nevicate di fine marzo. Ora il sentiero diventa più articolato, alterna tratti in piano a pezzetti più ripidi, interseca una serie di impluvi e supera alcune bancate rocciose su cui notiamo alcune primule (Primula auricola). Giunti a quota 1.400 metri il bosco si dirada e davanti ai nostri occhi si apre una splendida valle alpina; il sentiero attraversa il rio Bianco e risale con ampie svolte i pascoli fino a raggiungere un profondo solco, la bocchetta di Zaiavor (1.608 mt.). Poco prima di raggiungere la bocchetta notiamo del movimento, un gruppo di una decina di camosci abbastanza giovani, probabilmente disturbati dalla nostra presenza, si muove rapidamente per mantenere le distanze di sicurezza. Dopo un’ora e tre quarti di cammino raggiungiamo la bocchetta, senza indugi giriamo a sinistra risalendo verso ovest i ripidi gradoni erbosi lungo il crinale; in circa venti minuti di faticosa salita siamo in cima. Sulla sommità è presente una piccola croce e un libro di vetta con tanto di timbro, il panorama è molto ampio e se non fosse per la foschia in pianura potremmo scorgere il mare senza problemi. Dopo una serie di foto e uno spuntino veloce deciciamo di ripartire (ore 12:00); vista la scarsa presenza di neve scegliamo di omaggiare il mitico Monsieur De Ravanage confermando l’idea di seguire la cresta per raggiungere casera Nischiuarch. Ridiscesi alla bocchetta prosegiuamo verso est affrontando un susseguirsi di saliscendi più o meno impegnativi che superiamo quasi sempre in cresta o poco sotto. Procediamo con passo sicuro e concentrazione alta fino all’ultima elevazione erbosa dopo la quale la traccia entra nella boscaglia e si fa più confusa, per due volte un frullare di ali ci mette sull’attenti; due coturnici in un solo giorno non capita spesso di vederle. Mantenendoci sul lato nord poco sotto la cresta perdiamo quota rapidamente, ogni tanto alcuni segnali giallo/rossi (parcelle forestali) ci indicano la via all’interno del bosco di faggio, punteggiato da diversi esemplari di Dentaria a nove foglie. Ancora un tratto nel bosco e dopo due ore ecco finalmente i verdi pascoli di casera Nischiuarch (1.182 mt.) dove ci fermiamo per una sosta. La parte sempre aperta della casera viene “gestita” da volontari che pian piano l’hanno equipaggiata con diversi comfort (stufa a legna, cucina a gas, supellettili varie, bagno esterno in ceramica…) che portano questa casera alla pari (o forse sopra) delle altre strutture sempre aperte del parco. Riprese le forze affrontiamo l’ultima parte dell’itinerario; dalla casera seguiamo il sentiero CAI 739 che si immerge nel bosco pochi metri sotto la casera. Superato un traverso siamo costretti ad afrontare una risalita a strette svolte, dopo di che il sentiero inizia a disegnare tornanti regolari scendendo verso valle. Prosegiuamo nella comoda discesa attraversando un vecchio pascolo con i resti di un edificio fino a raggiungere la rotabile in prossimità del ponte sul rio Bianco, ancora pochi minuti su strada asfaltata e siamo di nuovo al punto di partenza. Resoconto: L’itinerario come descritto è adatto esclusivamente ad escursionisti esperti (EE), sia per la lunghezza che per il tratto in cresta, impervio e privo di segnalazioni dove bisogna avere passo sicuro. E’ possibile percorrere un’anello simile che non presenta particolari difficoltà tecniche; una volta giunti alla bocchetta si scende lungo il sentiero CAI 727 nell'opposto versante fino a Sant'Anna di Carnizza e si raggiunge casera Nischiuarch lungo la vecchia strada sterrata. Anche evitando le difficoltà tecniche del tratto in cresta resta comunque un itinerario lungo e con molto dislivello.
Ore 8:16 presso l’hotel Carnia, questo è il punto di ritrovo per la prima escursione del 2017. La meta sarà la creta dei Rusei in val Alba con un itinerario rivisitato rispetto a quello tradizionale, raggiungeremo la cima passando per il panoramico sentiero Palis d’Arint. Superato Moggio Udinese si percorre la strada della val d’Aupa fino all’incrocio per l’abitato di Pradis da dove parte la strada che in circa 5 km raggiunge il parcheggio posto a quota 1040 metri. Dal parcheggio seguiamo il CAI 428a che attraverso una faggeta ci porta fin sul greto del rio Alba per poi risalire al rifugio Vualt, durante il percorso si incontrano le deviazioni per il CAI 450 e per il ricovero Bianchi. In circa mezz’ora siamo al rifugio; situato in una panoramica radura presenta all’esterno una fontana e un grande tavolo, all’interno il vecchio e fumante fogolar è stato sostituito da un efficiente spolert in muratura. Dopo una breve sosta per togliere le giacche ripartiamo prendendo il CAI 425 proprio dietro il rifugio e in circa venti minuti raggiungiamo forcella Vualt immersi in una spettacolare faggeta composta da innumerevoli fusti coetanei. Qui veniamo accolti da un vento glaciale che ci porta ad imboccare rapidamente sulla destra il sentiero bollinato di blu “Palis d’Arint”; da subito la pendenza è impegnativa, il sentiero percorre piccole cenge, si inerpica lungo canaloni erbosi contornati da verdi mughi fino ad arrivare a brevi passaggi in cresta sempre in sicurezza e mai troppo esposti. Durante l’ascesa i versanti si alternano permettendo di godere di splendidi scorci sulla Grauzaria verso ovest, sul Chiavals e lo Zuc dal Bor verso est. Superato l’ultimo faticoso canale erboso giungiamo sul monte Vualt (1725 m), piccola cima panoramica su cui si erge un’essenziale croce in legno. Davanti a noi appare il piccolo ricovero Ciasut dal Scior (1744 m), gestito in modo impeccabile dai volontari di Dordolla, che raggiungiamo in pochi minuti scendendo dal monte Vualt. Dopo un paio di foto e un bicchiere di tè caldo ripartiamo per la nostra meta seguendo il CAI 422 che in discesa su di un sentiero perfetto ci porta a lambire la forcella Forchiadice (1612 m) prima di riprendere la salita verso la creta dai Rusei attraverso il CAI 425. L’ambiente in cui ci muoviamo è cambiato, il sentiero prende quota ricalcando una vecchia mulattiera attraverso i mughi su terreno roccioso e friabile, poco prima dei resti della casermetta a quota 1890, si stacca sulla sinistra la traccia segnalata (segno rosso giallo) che sale alla creta dei Rusei. Tale deviazione permette di raggiungere la vetta (1920 m) e richiede attenzione per l’esposizione e per un tratto ripido detritico. Dalla cima si gode di un ampio panorama, dietro il Chiavals si riconosce il massiccio del Montasio e il gruppo del Canin; verso la Carnia, Grauzaria e Sernio si ergono maestosi in primo piano, apena dietro fa capolino lo Zoncolan percorso dalle bianche piste, oltre i giganti austriaci con le vette imbiancate. Scesi dalla cima e tornati sulla mulattiera proseguiamo verso sinistra per raggiungere i resti di una casermetta militare e di una galleria che trafora la montagna, dopo averla visitata proseguiamo sempre sul CAI 425 verso forcella della Vacca. Dopo aver perso un centinaio di metri giungiamo sotto una parete verticale alla base della quale ci sono i resti di un piccolo ricovero, poco dopo sulla destra parte una vecchia traccia segnata con qualche sporadico pallino blu (tratteggio nero su Tabacco). In perfetto stile “ravanage” scendiamo rapidamente seguendo la traccia molto sdrucciolevole a causa dei detriti, cinque camosci non sembrano molto infastiditi dalla nostra presenza e continuano la loro ascesa su di un canalone impervio. Superato il tratto detritico la traccia vira nel bosco, ora il passo è più sicuro e spedito, in breve sbuchiamo proprio dietro l’ex ospedale militare. Da qui seguendo prima il sentiero che ricalca il percorso del gasdotto e poi la strada forestale ripassiamo per il rifugio Vualt e torniamo al parcheggio, molto soddisfatti per aver compiuto questo insolito anello. Resoconto: La val Alba è un piccolo gioiello collocato nel settore orientale delle Alpi Carniche meridionali, racchiude in sé un notevole esempio di ambiente alpino pressoché incontaminato che può essere visitato attraverso diversi percorsi ad anello. L’itinerario qui proposto permette di attraversare tutti gli ambienti caratteristici di questa valle, richiede però un buon allenamento e una certa capacità di passo su ambiente roccioso.
Il monte Guarda è l’estremo rilievo della lunga cresta sud del Canin, separa la val Resia dalla valle dell’Isonzo e permette di godere di una splendida vista sulle Alpi Giulie e sui monti sloveni; la cima si può raggiungere con diversi itinerari, il più semplice dei quali parte da malga Coot. Noi per l’escursione odierna abbiamo scelto di partire da Uccea, ultimo abitato prima del confine di stato sulla strada che collega Tarcento con Saga. L’appuntamento è per le 6:45 a Tarcento, caffè rapido al bar in piazza e via verso l’alta val Torre. Superato il passo di Tanamea la strada scende tra numerose curve fino al paese di Uccea (630 m). Il paese formato da una ventina di edifici non è completamente abbandonato, luci di natale testimoniano quali siano le case ancora abitate; il sole è appena sorto (7:40) ma la luce è ancora poca, la catena del Granmonte nasconde il sole e la brina ricopre ogni cosa. Il sentiero (CAI 733) ha inizio nei pressi del cimitero e fin da subito si inerpica ripido lungo le pendici del monte Caal; camminiamo su di un tappeto rosso di foglie immersi in un bosco di faggio, passando accanto a stavoli diroccati e vecchi pascoli in cui la rinnovazione si sta rapidamente impadronendo di ciò che l’uomo gestiva fino a pochi anni fa. Il sentiero prosegue ripido fino ad una radura posta dopo altri stavoli dove si insinua in un solco roccioso con alcuni gradini, superato questo tratto rientriamo nel bosco per percorrere alcuni tornanti che ci portano ad una seconda radura con un grande stavolo ancora in piedi. Passato il filo di una vecchia linea d’esbosco, con un paio di tornanti il sentiero raggiunge il fianco ovest del monte Caal da dove ha inizio il traverso che conduce ad una selletta a quota 1236 metri. Superato questo punto siamo in vista della casera Caal (1.208 m) che raggiungiamo dopo aver percorso il sentiero che taglia il versante nord del monte Caal e i pascoli della casera. Ad ogni mia visita la casera è sempre più bella, i ragazzi che la gestiscono fanno davvero un gran lavoro; dalla nostra partenza è passata un’ora e mezza, ottimo tempo, ma non possiamo fermarci a lungo, la nostra meta è ancora lontana. Riprendiamo il sentiero già percorso fino al bivio per il monte Plagne da dove parte una bella mulattiera che ci porta a risalire i ripidi prati alpini del monte Banera. Dopo un’oretta raggiungiamo la cresta da cui si apre una spettacolare vista sulla val Resia e sul gruppo del Canin; la giornata è splendida, fin ora fa caldo per il periodo ma in cresta un vento gelido proveniente da nord ci ricorda che siamo al 28 di dicembre. Da qui seguiamo il sentiero CAI 731 che segue la cresta a tratti sinuosa ma mai troppo stretta o esposta e ci porta dapprima al monte Plagne (1663 m) e infine alla cima del monte Guarda. La vista da questa cima è davvero particolare, con i suoi 1720 metri costituisce la testata della Val Resia e permette di dominare con lo sguardo buona parte della valle dell'Isonzo; non a caso gli Alpini la occuparono da subito nel primo conflitto mondiale per formare la terza fascia difensiva del Regio Esercito. Dopo alcune foto decidiamo di proseguire ancora un pezzettino e raggiungere il bivacco Costantini per pranzare al riparo dal fastidioso vento freddo; seguendo il sentiero in circa mezzora raggiungiamo lo sperone Mulaz sotto il quale è situato il bivacco in lamiera rossa. Verso le 12:30 decidiamo di ripartire, seguiamo il sentiero percorso all’andata fino al bivio per Uccea dove proseguiamo in cresta per il CAI 731 verso il monte Nische. Il sentiero percorre la lunga dorsale che collega il monte Plagne con il monte Nische, percorriamo di buon passo i prati di cresta abbassandoci lentamente di quota fino a che incontriamo i primi boschetti di carpino. Per un breve tratto il sentiero piega sul versante nord, poi entra in una splendida abetaia nei pressi della cima del monte Chila, dove sono presenti i resti dell’omonima casera e parte il sentiero per la discesa verso Uccea. Per tornare all’auto seguiamo il CAI 732, un sentiero ottimamente segnato ma che nel tratto centrale presenta pendenze molto importanti, sconsigliate sia in salita che in discesa con il bagnato. In poco più di un’ora siamo a casere Taptomalicucon sulla carrozzabile che porta a sella Carnizza, ultimo tratto di strada e siamo di nuovo ad Uccea. Resoconto: Itinerario lungo ma appagante da un punto di vista panoramico soprattutto nella parte alta del percorso quando il sentiero percorre la cresta fino al monte Guarda. L’itinerario può essere più breve di quello descritto; senza raggiungere il Costantini e tornando indietro per la stessa strada, comunque bisogna affrontare i mille metri di dislivello che separano Uccea dal monte Guarda. La casera Caal è sempre aperta ed è fornita di ogni comfort che una casera possa avere, non ci sono fonti d’acqua lungo il sentiero.
La meta di oggi è il monte Zabus, la cima più alta di quella lunga dorsale roccioso - prativa che unisce idealmente lo Jof del Montasio e il Monte Cimone. Dalla sommità si gode di una splendida vista a 360 gradi sulle Alpi Giulie e Carniche; particolare risulta la vista sull’altopiano del Montasio, che può essere osservato in tutta la sua lunghezza dalla Malga Montasio fino all’inizio del bosco verso Sella Nevea. Sono le 8:00 e ancora una volta mi ritrovo sull’altopiano del Montasio, questa volta in compagnia dei miei amici carnici, Enrico ed Andrea. Erano almeno dieci anni che non passavo di qui, ora questa è la terza volta nel giro di un mese. Parcheggiata l’auto nell’ampio piazzale iniziamo a risalire la strada forestale che porta al rifugio di Brazzà, prima del quale imbocchiamo a destra il sentiero che sale allo Jof di Montasio. Il sentiero compie un lungo traverso su pendio erboso a quota costante e permette di avere già una splendida visuale sull’altopiano a sinistra e sulle ripide pareti calcaree della catena del Montasio a destra. Davanti a noi illuminato dal sole c’è il ripido versante dello Zabus, trecento metri di prato e roccette con pendenze importanti che affronteremo poi in discesa. Giunti all’incrocio con il sentiero che sale da Malga Montasio (1700 mt.) inizia la vera salita verso la Forca dei Distreis, oltre a noi tre ci sono diversi altri escursionisti, qualcuno è già alla forca, altri salgono come noi seguendo il sentiero, altri coraggiosi (o semplicemente più allenati!) salgono per la via più diretta tagliando per i pascoli e i ghiaioni. Dopo circa due ore di camino, poco al di sotto della forca, deviamo sulla sinistra abbandonando così il sentiero per la vetta dello Jof raggiungendo in breve la forca dei Disteis; arrivati a quota 2201 mt. appare davanti a noi l’impressionante voragine sul lato nord del Curtissons, il baratro della Clapadorie. Dalla forca proseguiamo verso sud ovest su traccia ben visibile che però si affievolisce presto, giunti in vista dell'affilata cresta dei Curtissons (Coltellacci) resta solo qualche debole solco probabilmente lasciato dai numerosi stambecchi che frequentano questi pendii. Decidiamo di seguire una traccia posta su erba mista a zolle che prosegue un paio di metri sotto la cima e che ci porta ad attraversare tutto il ripido versante del Curtissons fino a raggiungere la Forca Bassa (2070 mt.), un’enorme forcella con grandiosa vista panoramica sulla Val Dogna. Da qui proseguiamo sul filo di cresta iniziando a risalire il versante meridionale del monte Zabus attraverso balze di roccia alternate a zone erbose che ci costringono ad un continuo “ravanare” per trovare la via migliore. Dopo circa mezz’ora di salita dalla forca Bassa iniziamo a intravedere la cima (2244 mt.) ghiaiosa dove una volta arrivati, troviamo un grande ometto in pietra ad accoglierci. La vista è magnifica, verso nord la parete rocciosa cade nel vuoto quasi in verticale tra affilati spuntoni rocciosi e ampi conoidi detritici. Alcuni stambecchi tra cui uno molto piccolo, probabilmente nato quest’anno, sfidano le vertigini sotto di noi facendo rotolare una gran quantità di sassi. Verso sud invece lo sguardo scende rapido verso i pascoli dell’altopiano fino a Sella Nevea per poi rialzarsi seguendo le piste da sci fino a imbattersi nella maestosità del gruppo del Kanin. Volgendo lo sguardo verso est non si può che restare affascinati; ora capisco il perché di quelle parole scritte da Julius Kugy: “il Montasio è il più grande e possente. Da qualunque parte lo si guardi non si troverà un lato che per via di aggruppamenti lo faccia apparire mediocre o meschino…E quando appare, non si ricorre alla carta per identificarlo: è lui, non c'è dubbio, è il Montasio”. Nonostante alcune nubi che avvolgono la cima del Montasio, sulla parete Nord Ovest è ben visibile il bivacco Suringar, forse il bivacco più esposto di tutto l’arco alpino. Dopo un’oretta di sosta decidiamo di rientrare, seguiamo il percorso dell’andata fino alla Forca bassa, da qui lasciamo il costone che scende dai Curtissons e pieghiamo verso destra puntando il lontano rifugio di Brazzà. La discesa risulta abbastanza malagevole; erba, zolle, rododendri e tane di marmotte ci accompagnano lungo la discesa fino ad un’imponente affioramento di conglomerato che superiamo grazie ad uno scivolo erboso. La pendenza è notevolmente diminuita e le caviglie ringraziano, percorriamo gli ultimi metri che ci separano dal sentiero dell’andata attraverso una zona ad alta densità di marmotte che corrono e fischiano in ogni direzione. Dopo un’ora e tre quarti siamo al rifugio dove, dopo aver richiesto i timbri del “gira rifugi” ci godiamo una meritata birra fresca con vista sul Kanin. Resoconto:Percorso per escursionisti esperti (EE); semplice nella prima parte, poi dopo Forca dei Disteis, richiede attenzione poiché ci si muove su traccia poco marcata caratterizzata da zolle erbose cedevoli e spesso scivolose. La salita attraverso la cresta alla cima del Zabus richiede attenzione visto il baratro presente sul versante settentrionale.
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Gennaio 2020
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