La carta topografica da escursionismo è un alleato indispensabile, sia durante la pianificazione di un itinerario che durante le escursioni e non dovrebbe mai mancare nel nostro zaino. L’utilità fuori dai sentieri o su percorsi mai battuti è scontata, ma non va sottovalutata nemmeno l’utilità su quei sentieri già percorsi o in zone che già conosciamo. Un cambio di percorso, una deviazione forzata o semplicemente la memoria che fa brutti scherzi, non saranno un problema se li affronteremo carta alla mano. Inoltre una curiosità sul nome di una cima, di un torrente o di una costruzione, potrà sempre essere soddisfatta leggendo in modo corretto la carta. Una carta escursionistica costa pochi euro e pesa al massimo cento grammi, decidere di non acquistarla per risparmiare o lasciarla a casa per alleggerire lo zaino potrebbe non essere una decisione saggia. Ora che sappiamo quanto possa essere importante una carta topografica vediamo quale dobbiamo scegliere. Poiché sia utile, non dobbiamo scegliere una carta qualsiasi, ma ne servirà una di tipo topografico per escursionismo. Cioè una carta che rappresenti in maniera precisa la conformazione del territorio, gli elementi principali come strade ed abitati, i punti quotati e le isoipse. Inoltre dovranno essere indicati i sentieri, con relativa numerazione e tutti gli elementi utili ai fini di un’escursione. Un elemento molto importante da considerare nella scelta della carta è la scala di riduzione. Questo parametro fondamentale, indica qual è la proporzione tra gli elementi che troviamo disegnati nella carta e quelli reali. Per l’escursionismo le scale più diffuse sono quella 1:25000 e 1:50000. La più indicata, soprattutto per i meno esperti, è quella a scala 1:25000 poiché riporta molte informazioni e rappresenta gli elementi con maggiore risoluzione, permettendo di individuare con più facilità i punti nel percorso. Nella scala 1:25000, un chilometro nella realtà corrisponde a quattro centimetri nella carta, quindi questa proporzione risulta molto comoda per approssimare le distanze. Soprattutto per chi utilizza in escursione il GPS, due dati utili da sapere sono il datum della carta e il sistema di coordinate utilizzato. Conoscendo queste informazioni infatti, potremo individuare la nostra posizione sulla carta, partendo dalle coordinate fornite dal nostro GPS opportunamente configurato. Infine un elemento importante, che spesso viene tralasciato, è la data di pubblicazione della carta. A volte capita di avere in casa carte topografiche vecchie di decenni, che se da un punto di vista altimetrico sono ancora valide, da un punto di vista degli elementi che rappresentano possono riportare grosse lacune, soprattutto sulla sentieristica e sulla viabilità. Affidarsi ad una carta troppo vecchia potrebbe rivelarsi un problema nel momento in cui vogliamo verificare un tragitto presente nella realtà ma che non troviamo sulla carta. Tutte queste informazioni (il tipo di mappa, la zona coperta, la scala...) sono sempre indicate sulla copertina della carta, quelle più precise riportano anche il datum e il sistema di coordinate. Quindi prima dell’acquisto ricordiamoci sempre di controllare queste caratteristiche, ed eventualmente se in copertina non troviamo tutte le informazioni possiamo controllare in legenda o sui bordi carta, a volte alcune delle informazioni vengono riportate lì.
Come già detto, una buona carta non è utile solo sul campo ma deve essere utilizzata anche a casa, per osservare il territorio che andremo ad esplorare, studiare i sentieri e la conformazione del territorio, scoprire itinerari circolari o capire quali strade percorrere in macchina. Poi, durante la camminata possiamo usarla se ad un bivio abbiamo un dubbio sul sentiero, per capire quanto dislivello ancora dovremo superare, se possiamo tornare indietro con un altro sentiero, o semplicemente per conoscere i nomi dei monti e dei paesi che incontriamo su nostro cammino. Possiamo acquistare le carte topografiche escursionistiche nelle librerie, nei negozi di articoli sportivi e a volte in tabacchino. Nelle località turistiche di montagna sarà più facile trovarle anche in altri esercizi commerciali, inoltre, ormai anche su internet si possono acquistare da diversi siti. Link utili:
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La notizia del ritorno del Castoro (Castor fiber) in Italia, dopo mezzo millennio di assenza, ha destato particolare interesse e curiosità non solo in ambiente scientifico. L’eccezionale avvistamento è avvenuto nella foresta di Tarvisio (UD) dove un giovane esemplare è stato immortalato dalle fototrappole installate dai ricercatori del Progetto Lince Italia. Si tratta indubbiamente di una scoperta dal grandissimo valore ecologico, considerando che la specie si estinse in Italia nel XVII secolo a causa della caccia indiscriminata. In Italia, ma anche in tutta Europa, il castoro veniva cacciato per la calda pelliccia, per la prelibata carne e per il “castoreo”, una sostanza oleosa secreta da alcune ghiandole, che secondo la tradizione dell'epoca aveva notevoli virtù terapeutiche. All’inizio del '900, in Europa, erano rimasti solo pochi esemplari nel bacino del Rodano, dell’Elba e in alcune zone umide nel sud della Norvegia; poi a partire dagli anni ’50 il grosso roditore è stato reintrodotto con diverse (e riuscite) campagne di ripopolazione dalla penisola scandinava fino alla Svizzera. Attualmente il castoro è ancora inserito tra le specie protette indicate nella direttiva Habitat (92/43/CEE) e dopo l'ultimo censimento effettuato nel 2006, il suo stato di conservazione è stato classificato come LC, ovvero rischio minimo. In Italia non è mai stato avviato un piano di reintroduzione per il castoro, quindi si presume che l’esemplare filmato a Tarvisio provenga dalla Slovenia oppure dall’Austria, con una propensione per la seconda ipotesi visto l’individuazione di alcune tracce del roditore in territorio austriaco a pochi chilometri dal confine. Lo sconfinamento del castoro austroungarico dimostra come nel produttivo e industrializzato nord est esistano ancora dei corridoi ecologici e delle aree ad elevato valore naturalistico dove specie autoctone che non si vedevano più da secoli possono ritornare ed eventualmente stabilirsi. Se effettivamente il castoro tornerà ad essere una presenza fissa in Friuli, sarà molto interessante osservare quale sarà l’impatto della specie sul territorio. Come tutti sanno il castoro viene definito “l’ingegnere della natura” per via della sua capacità di costruire cunicoli, tane articolate e dighe, che vanno a modificare il territorio dove si stabilisce. Tale modificazione operata dal castoro può avere aspetti positivi ma anche negativi; la creazione di invasi "artificiali" potrebbe attirare pesci, anatidi e altri animali acquatici, creando oasi naturalistiche pregevoli e ricche di biodiversità. Di contro però, le modifiche idrauliche potrebbero innescare danni anche notevoli, soprattutto in aree antropizzate o sfruttate per l’agricoltura, con inondazioni di intere aree, deviazioni di fiumi o torrenti e dissesti lungo gli argini fluviali. Ovviamente il ritorno di un singolo esemplare non causerà effetti tangibili nel breve periodo, sarà però estremamente interessante vedere che cosa accadrà nel lungo periodo.
Il Castoro europeo (Castor fiber) è il più grande roditore del mondo dopo il capibara; la sua lunghezza può andare dagli 80 ai 100 cm per un peso che generalmente si assesta tra gli 11 ed i 30 kg. Il corpo del castoro è massiccio, le zampe posteriori sono palmate e tutte le dita sono munite di artigli. La pelliccia è generalmente marrone-rossiccia sul dorso e più chiara o grigiastra sul ventre. Il castoro è un erbivoro stretto e la sua dieta è dettata principalmente dalla stagione. In estate si ciba prevalentemente di piante erbacee e legnose disponibili nei suoi dintorni, in inverno si ciba principalmente di cortecce e germogli di alberi e arbusti. Dal momento che il Castoro non è in grado di arrampicarsi, per raggiungere gemme e germogli abbatte semplicemente gli alberi utilizzando i suoi potenti incisivi. Leggi anche:
Negli ultimi anni il telefono cellulare è diventato sempre più un oggetto indispensabile e con l’evoluzione della tecnologia gli smartphone sono diventati uno strumento molto utile per la vita di tutti i giorni. Al di là degli abusi, di cui spesso si ha notizia, gli smartphone possono risultare di grande aiuto in molte situazioni, e anche in campo escursionistico un cellulare può risultare molto utile.
La prima e principale funzione di un cellulare è quella di effettuare delle chiamate, che possono essere di emergenza ma possono anche essere effettuate per avvertire qualcuno di un ritardo o un cambio di programma. Va detto che in montagna non sempre è presente la copertura della rete gsm, questa solitamente non raggiunge le vallate più remote ma se ci muoviamo in cresta o in una vallata antropizzata solitamente si ha una discreta copertura. Inoltre se il nostro gestore non è disponibile ma la zona è coperta da un altro gestore, allora la chiamata verso un numero d’emergenza (112 o 118) sarà sempre disponibile. Anche gli sms o i messaggi whatsapp possono tornare utili e soprattutto gli sms a volte vengono inviati anche quando il segnale gsm è molto basso. Al di là dei problemi di copertura il telefono cellulare resta il metodo più veloce per chiedere aiuto quindi in escursione è sempre bene averne uno.
Il secondo motivo per cui un cellulare può essere utile in escursione è il ricevitore GPS che ormai ogni apparecchio monta. Tale ricevitore, anche se molto piccolo è in grado di garantire una sufficiente precisione, con un errore in posizionamento reale che, nelle condizioni ideali, può arrivare ad un paio di metri. Il GPS può essere utile sia in situazione di emergenza, ad esempio per definire la nostra posizione per gli organi di soccorso (app Georesque), sia per tracciare il nostro percorso oppure seguire una traccia precedentemente caricata sul nostro dispositivo. Esistono numerose app sia gratuite sia a pagamento, che sono in grado di trasformare il tuo smartphone in un gps cartografico. Queste app, ad esempio ViewRanger o Tabaccoapp, sono in grado di visualizzare online oppure offline una cartografia di base, su cui è possibile tracciare il proprio percorso o visualizzare i percorsi scaricati precedentemente. Tali app non sostituiscono un gps cartografico professionale, ma per le escursioni domenicali sono una valida alternativa.
Passando a funzioni meno importanti, la fotocamera integrata negli smartphone può essere utilizzata in un paio di modi. Innanzitutto è possibile scattare bellissime foto, soprattutto con le fotocamere di ultima generazione, permettendo di lasciare a casa la macchina fotografica. La fotocamera poi, può anche essere utilizzata in combinazione con alcune applicazioni per individuare il nome di una cima montuosa oppure di un fiore. Ad esempio l’applicazione PeakFinder (a pagamento) permette di inquadrare un panorama e grazie anche all’aiuto del GPS è in grado di indicare il nome delle vette visibili. Oppure con PlantNet è possibile scattare una foto ad un fiore o ad una foglia per scoprirne il nome e altre utili informazioni. Numerose sono le applicazioni che possiamo trovare negli app store e che potrebbero tornare utili in escursione; tali app solitamente utilizzano il GPS e la connessione dati ma alcune lavorano anche off-line. Se vuoi utilizzarle dovrai sempre tenere d’occhio il consumo della batteria, non scordarti mai che potresti avere bisogno del telefono per effettuare una chiamata o mandare un messaggio. Se sei solito utilizzare molto il telefono in escursione una buona soluzione potrebbe essere un powerbank (meglio serugged), oppure una custodia rinforzata anti urto, resistente all’acqua e allo sporco con anche la batteria integrata. Leggi anche:
Le vipere presenti in Italia appartengono a cinque diverse specie e tutte sono in grado di produrre veleno in quantità sufficiente per essere considerate pericolose per la vita dell'uomo. Come ho già spiegato nel precedente articolo sulla vipera, la specie più pericolosa per l'uomo è la Vipera dal Corno (Vipera ammodytes), presente in Friuli Venezia Giulia, Veneto e parti del Trentino Alto Adige. Questa infatti possiede un quantitativo di veleno che varia da 10 a 35 mg ed è in grado di inoculare con un morso una quantità media di veleno pari a 7 mg (dose mortale 14 mg), risultando quindi molto pericolosa per bambini, anziani e individui con problemi di salute. Va precisato però che circa il 30% dei morsi di vipera sono “morsi secchi”, ovvero senza inoculazione di veleno che è essenziale per la vita del rettile. L'uomo infatti non rappresenta una preda per il serpente, che quindi non presenta alcun istinto predatorio nei nostri confronti. I casi di morso sono abbastanza rari (le morti ancora di più) e si riconducono a situazioni particolari dove per svariati motivi il rettile viene colto di sorpresa e non ha la possibilità di scappare. Anche se la possibilità di morso è molto bassa è sempre bene sapere come comportarsi: innanzitutto bisogna mantenere il più possibile la calma e assicurarsi che il morso sia effettivamente di vipera. Questo lo si verifica immediatamente se abbiamo visto cosa ci ha morso, oppure osservando la lesione; se vediamo due fori distanziati di circa 0,5 - 0,8 cm siamo in presenza di un morso di vipera. Stabilito che si tratta di vipera bisogna recarsi immediatamente in ospedale o chiamare aiuto e attendere l'arrivo dei soccorsi senza agitarsi. La sede del morso va lavata con acqua (veleno idrosolubile) e disinfettata con sostanze prive di alcool, se possibile si può effettuare un bendaggio a monte della ferita per fermare la circolazione linfatica che veicola il veleno subito dopo il morso. Se il morso è localizzato su di un arto è bene immobilizzare la zona colpita mediante steccatura, sfilando anelli e bracciali prima che il gonfiore indotto dal veleno lo impedisca. Assolutamente da evitare la rimozione del veleno con incisione, spremitura o suzione, l'uso del laccio emostatico e la somministrazione del siero. All'infortunato si possono somministrare bevande eccitanti come té o caffè (caffeina) che aiutano ad evitare un pericoloso calo pressorio, non devono invece essere somministrate bevande alcooliche in quanto l’alcool è un vasodilatatore. Quindi le regole da seguire in caso di morso sono poche e molto semplici, ricorda che vari fattori condizionano la gravità del morso (zona colpita, età, patologie) e che l'avvelenamento raramente ha esiti mortali. I sintomi dovuti al morso compaiono dopo pochi minuti, sono localizzati e consistono in dolore, tumefazione e chiazzatura emorragica (livido). Dopo circa un'ora dal morso compaiono anche gli effetti generalizzati come mal di testa, nausea, vomito, dolori addominali, febbre e difficoltà nei movimenti.
Anche nei casi più gravi c'è sempre il tempo necessario per chiedere aiuto o raggiungere il pronto soccorso, l'importante è mantenere la calma, sapere cosa fare e non sottovalutare un morso che se trascurato potrebbe portare a conseguenze molto gravi. Leggi anche: Nell’articolo di oggi non tratterò di una singola specie, bensì ti parlerò di alcuni alberi appartenenti al genere Pinus che possono essere davvero utili durante le nostre uscite o in una situazione d’emergenza. Le specie che appartengono a questo genere sono circa centoventi, dieci delle quali sono presenti in modo spontaneo in tutta Italia e sono distribuite sia in ambiente alpino che mediterraneo. L’aspetto interessante di questi alberi è che sono presenti in areali molto diversi tra loro e comunque mantengono delle caratteristiche comuni che possono tornare molto utili. Sul territorio nazionale in ambiente alpino possiamo trovare il Pino Mugo, il Pino Silvestre, il Pino Nero e il Pino Cembro; mentre in ambiente mediterraneo troviamo il Pino da pinoli o Pino comune, il Pino marittimo, il Pino d’Aleppo, il Pino di Monterey e alcune sottospecie di Pino Nero (Pinus nigra laricio in Calabria e Sicilia). Gli alberi e gli arbusti appartenenti a questo genere sono conifere sempreverdi, le foglie sono aghiformi e sono riunite in gruppi di 2, 3 o 5 aghi a seconda della specie. Gli aghi, lunghi anche 10 cm, non si innestano direttamente sui rami bensì sono inseriti a fascetti su dei corti rametti detti brachiblasti. Le numerose caratteristiche delle essenze appartenenti al genere Pinus e la loro ampia diffusione sul territorio nazionale lo rendono un’ottima essenza da conoscere e utilizzare in caso di necessità. Vediamo ora quali sono le caratteristiche principali, comuni a tutte le specie appartenenti al genere Pinus. Partendo dal legno, questo può essere classificato come “tenero”, infatti si presta bene per l’intaglio e per la creazione di oggetti di uso comune come mestoli e tazze. Si taglia abbastanza facilmente ed è ottimo per ricavare la tavoletta e il piolo per l’accensione del fuoco con la tecnica del bow drill (fuoco con archetto). Il legno delle conifere contiene molta resina, per cui è ottimo per accendere il fuoco in situazioni umide; produce un buon calore fin dalle prime fasi di accensione ma dura poco e tende a scoppiettare e fumare parecchio. Quindi è ottimo per l’accensione di un falò ma poi è meglio passare ad un altro tipo di legno soprattutto nella stagione secca. Inoltre le braci che derivano dalla combustione sono di scarsa qualità e non sono adatte alla cottura del cibo in quanto la combustione delle resine apporta sgradevoli sapori in cottura. Dai pini si ricava il fatwood, legno impregnato di resina, che può essere utilizzato come accendifuoco oppure come esca. Il fatwood si trova in abbondanza soprattutto nelle radici dei pini morti, dove si accumula a causa della gravità. Altrimenti lo si può trovare anche all’innesto dei rami sul tronco, sia delle piante vive che morte. In linea di massima è sempre meglio tagliare i rami delle piante morte, ma se ci troviamo in un bosco particolarmente sano potremo utilizzare i rami più bassi che solitamente sono secchi. Altre parti utili di questa pianta sono gli strobili (le pigne) e gli aghi secchi. Le pigne sono resinose e possono essere utilizzate nelle prime fasi di accensione per mantenere viva la fiamma. Gli aghi secchi invece si possono raccogliere e strofinare tra loro fino a produrre un nido dove inserire una brace, prodotta ad esempio con la tecnica del bow drill. La resina di questi alberi è una risorsa molto importante che può essere raccolta, conservata ed utilizzata per diversi scopi. Mescolata con carbone e materiali inerti produce un ottimo collante, allo stato fluido può essere utilizzata come film protettivo su piccole ferite o abrasioni, oppure può essere bollita in acqua per inalare i vapori balsamici utili a lenire le infiammazioni delle vie respiratorie, grazie alle sue proprietà antisettiche e disinfettanti. Infine la resina solidificata può essere usata come accendi fuoco. Veniamo alle parti commestibili, che sono diverse e possono essere davvero utili in una situazione di emergenza. Partiamo con gli aghi verdi che possono essere masticati direttamente oppure utilizzati per preparare un infuso ricco di vitamina C ed A, che placa i morsi della fame e stimola il sistema immunitario. La tecnica dell’infuso prevede che si porti l’acqua a ebollizione e poi si metta una manciata di aghi sminuzzati in infusione per 5 minuti. Un’altra parte edibile sono le infiorescenze maschili che si trovano sulle punte dei rami e possono essere raccolte a fine primavera, inizio estate. Queste si possono mangiare dopo bollitura, oppure si può raccogliere il polline da utilizzare come sostituto dell’amido di mais o della farina. La parte commestibile più conosciuta sono sicuramente i pinoli, che non sono altro che i semi di queste pinte. Essi contengono proteine e vitamina B1, sono situati all'interno delle pigne e se queste sono ancora chiuse si possono arrostire sul fuoco per farle aprire. I Pinoli possono essere consumati crudi, arrostiti o macinati per fare una farina. Tutte le specie di pino producono pinoli, ma solamente alcune producono pinoli abbastanza grandi perché valga la pena raccoglierli (Pinus pinea). L’ultima parte commestibile di cui ti parlerò, quella più particolare e meno conosciuta, è la corteccia interna; questa ha un colore bianco e si trova appena sotto la corteccia esterna. Questo strato prende il nome di Fellogeno o Cambio del Sughero e devi sapere che è molto importante per la vita dell’albero in quanto serve a proteggere le parti interne dall’attacco dei patogeni e degli agenti atmosferici. In pratica, la corteccia si spacca con la crescita, il fellogeno quindi produce il sughero che isola l’interno dell’albero proteggendolo dai patogeni. La corteccia interna si può mangiare così com’è oppure va essiccata e macinata per farne una farina molto nutriente. Ovviamente non raccogliere la corteccia interna a meno che non ci sia una reale situazione di emergenza, perché così facendo crei un danno all'albero.
Lggi anche: Il bollettino nivometeorologico (bollettino valanghe) è lo strumento che fornisce un quadro sintetico dell’innevamento e dello stato del manto nevoso, definendo il grado di pericolo valanghe in un determinato territorio. Viene redatto sulla base delle previsioni meteorologiche e della possibile evoluzione del manto nevoso, al fine di mettere in guardia l’utenza e prevenire eventuali incidenti derivanti dal distacco di valanghe. I bollettini sono redatti e diffusi dagli organi territoriali competenti (es. ARPA) appartenenti alle regioni e provincie dell’arco alpino. La natura regionale dei bollettini garantisce quindi una maggiore puntualità sulla situazione del manto nevoso e soddisfa al meglio le esigenze degli utenti cui il bollettino è rivolto. Al fine di mantenere una certa omogeneità tra i diversi bollettini i sette centri regionali e provinciali sono coordinati nel loro lavoro dall’AINEVA, l’Associazione Interregionale Neve e Valanghe, che ha sede a Trento. I bollettini di ciascuna regione appaiono strutturalmente diversi, prevalentemente a livello grafico, ma presentano dei contenuti comuni, frutto di precise indicazioni ed accordi presi all’interno dell’AINEVA. Inoltre, al fine di fornire un quadro globale, della situazione del pericolo valanghe nell’intero arco alpino, esiste un bollettino AINEVA che in sintesi raggruppa tutti i dati provenienti dai bollettini regionali e provinciali ed è disponibile su internet all’indirizzo www.aineva.it. I contenuti comuni che vengono riportati nei bollettini di ciascuna regione sono:
Dal 1993, in seguito agli accordi presi durante il VI Convegno del Gruppo Internazionale di lavoro dei Servizi di Previsione e Prevenzione Valanghe (EAWS), il pericolo valanghe viene riportato secondo una scala unificata europea suddivisa in cinque gradi di pericolosità. In questa scala il pericolo viene suddiviso in cinque gradi caratterizzati da un’aggettivazione ed una numerazione crescente; debole (grado 1), moderato (grado 2), marcato (grado 3), forte (grado 4) e molto forte (grado 5). Va sottolineato come la progressione della scala non sia lineare; infatti il grado di pericolo 3, pur trovandosi al centro della scala, non rappresenta un grado di pericolo medio ma una situazione già critica, nella quale in particolari situazioni ci possono essere dei distacchi spontanei. Inoltre bisogna essere consapevoli che il grado di pericolo 1 non indica una situazione esente da pericoli, un minimo rischio di distacco è sempre presente anche se c’è bisogno di un forte sovraccarico su di un pendio molto ripido. Per ciascun grado inoltre viene indicata anche la stabilità del manto nevoso e la probabilità di distacco, che dipende direttamente dal consolidamento. Il bollettino quindi è uno strumento informativo che può dare un valido aiuto nel prendere decisioni riguardanti la propria incolumità, nei confronti del pericolo rappresentato dalla caduta di valanghe. La sua consultazione risulta fondamentale soprattutto nella fase di preparazione dell’escursione per definire il percorso più idoneo in base al grado di pericolosità presente in una determinata zona. Come scritto in precedenza il pericolo valanghe viene espresso su scala regionale, la sua valutazione viene fatta per zone o gruppi montuosi e quindi non può essere esteso ad ogni singolo pendio innevato. Il bollettino descrive la pericolosità di una macrozona, spetterà poi all’utente valutare ciascun itinerario mettendo in relazione fra loro il grado di pericolo, la possibile attività valanghiva dei versanti e le relative conseguenze nell’affrontare l’attraversamento di una zona potenzialmente pericolosa. Quello che mi preme sottolineare è che il bollettino fornisce un’indicazione della pericolosità in una macrozona ben definita (es. Prealpi Giulie), dove ci potranno essere dei pendii in grado di sviluppare una valanga, mentre altri no. Zone che, per le loro caratteristiche morfologiche, non sono soggette al distacco di masse nevose esistono e sono ad esempio le vallate ampie o gli altopiani. In queste microzone, anche se il bollettino indica un grado elevato, non ci sarà alcun pericolo legato alle valanghe e potranno essere frequentate durante tutta la stagione invernale. In conclusione dunque il bollettino fornisce l’indicazione, starà poi all’escursionista valutare caso per caso tutti fattori incidenti sul distacco di una valanga per decidere cosa sia meglio fare.
Fonti e link utili: Leggi anche: Già da diversi anni l’escursionismo nella stagione invernale è un’attività abbastanza diffusa. Sempre più persone ormai frequentano la montagna d’inverno, percorrendo itinerari a bassa quota oppure in ambiente nevoso, soprattutto grazie alla diffusione delle ciaspole e dei percorsi adatti a queste. L’escursionismo invernale però è un’attività che non va sottovalutata; richiede delle conoscenze specifiche e un’attenta preparazione della giornata, soprattutto se in ambiente nevoso. Come ho già spiegato nell’articolo sui pericoli della montagna, questi possono essere suddivisi in due categorie: pericoli soggettivi e pericoli oggettivi. Ovviamente questi pericoli sono presenti in tutte le stagioni dell’anno ma durante l’inverno entrambe le categorie si arricchiscono con alcuni pericoli strettamente correlati alla stagione invernale. Specialmente all’inizio di questa stagione, quando la presenza di neve è ancora sporadica, può capitare di imbattersi in tratti ghiacciati, piccoli nevai o erba gelata che potrebbero causare delle scivolate. L’ambiente e il suolo possono cambiare profondamente a seconda del versante e dell’esposizione, quindi l’escursione andrà programmata con una certa attenzione per evitare sorprese lungo il tragitto. Le giornate poi tendono ad accorciarsi molto, le ore di luce a disposizione sono sempre meno e scegliendo un itinerario troppo lungo c’è il serio pericolo di restare al buio. L’escursione deve essere sempre commisurata alla reale capacità tecnica propria e dei propri compagni, ricorda che in condizioni di neve fresca e non battuta i tempi di percorrenza di un itinerario saranno superiori di circa il 40% rispetto allo stesso privo di neve. Muoversi per diverse ore in un ambiente freddo porta al consumo di molte energie per cui l’abbigliamento e l’attrezzatura dovranno essere adeguati, vestirsi e mangiare in modo corretto garantirà di non soffrire il freddo e la fatica. Anche d’inverno in montagna ci possono essere repentini cambiamenti climatici e i venti forti in quota determinano l'effetto "windchill", ovvero intensificano notevolmente la percezione del freddo. Se mal vestiti l'ipotermia può sopraggiungere rapidamente, provocando congelamento con effetti rilevanti su tutto l’organismo e accrescendo anche il degrado psico-fisico. Con il freddo bisogna immagazzinare più calorie per riuscire a compensare il maggiore dispendio energetico da pare del nostro fisico, ma è altrettanto importante bere. Anche se in maniera minore rispetto all’estate il nostro corpo perde continuamente liquidi; tuttavia con il freddo la sensazione di sete viene affievolita notevolmente e quando ci si accorge di avere sete potrebbe essere troppo tardi. Bere in modo regolare, una bevanda calda o tiepida risulta fondamentale per evitare di raggiungere uno stato di disidratazione che comporta la perdita di efficienza accompagnata da una precoce sensazione di fatica. Un altro aspetto da non sottovalutare sono le condizioni climatiche, nebbie e tormente sono fenomeni atmosferici tipici della stagione invernale che possono causare scarsa visibilità. A differenza dei temporali estivi sono eventi più facilmente prevedibili ed evitabili ascoltando con attenzione le previsioni meteo. In mezzo alla nebbia o ad una tormenta, soprattutto oltre il limite del bosco, dove non ci sono punti di riferimento, la scarsa visibilità può rendere l’orientamento assai difficoltoso. I problemi di orientamento però possono presentarsi anche nelle belle giornate di sole. Finché al suolo sono presenti pochi centimetri di neve, questa copre semplicemente la traccia lasciando visibili i segnavia. Quando però la neve al suolo è parecchia questa può coprire i segnavia e gli altri punti di riferimento, rendendo difficoltoso orientarsi soprattutto nelle zone aperte. In tutti questi casi un gps cartografico con la traccia del nostro percorso può tornare davvero utile per evitare di perdersi. Infine la principale insidia per chi si muove su terreno innevato fuori dai percorsi tracciati sono le valanghe. Generalmente tutti i pendii non boscati, con un'inclinazione maggiore a 30° sono potenzialmente pericolosi. In queste zone entrano in gioco numerosi fattori che vanno ad incidere sul grado di pericolo in maniera positiva o negativa. L'accumulo di neve fresca, il vento, la temperatura, l’esposizione del pendio e la struttura degli strati che compongono il manto nevoso sono tutte variabili che incidono sulla stabilità del versante e vanno tenute in considerazione da parte di chi si avventura al di fuori dei percorsi tracciati. Il bollettino valanghe fornisce delle indicazioni generali che servono per decidere a priori se andare o meno ad effettuare un determinato itinerario. Poi l’analisi delle condizioni deve essere fatta sul posto durante tutta l’uscita e in presenza di situazioni dubbie, bisogna avere il coraggio e la saggezza di non proseguire e tornare indietro. Anche per escursioni semplici, ma al di fuori di percorsi noti e tracciati, è auspicabile avere al seguito ARTVA, pala e sonda, saperli usare ed essere correttamente formati per intervenire nel caso di distacco di una valanga. In ogni caso è bene essere consapevoli che la sicurezza assoluta non esiste, anche con i dispositivi di sicurezza al seguito qualche piccolo rischio permane. Per ridurre al minimo il rischio residuo bisogna pianificare scrupolosamente l'itinerario, avere consapevolezza dei propri limiti psicofisici, sapere quello che si fa e farlo con grande rispetto della montagna e di tutto quello che ci sta attorno.
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Ormai già da diversi anni la stagione fredda non vuol dire solo sci; l'escursionismo invernale ha visto una rapida espansione soprattutto grazie all'utilizzo di una particolare attrezzatura rispolverata dal passato. Sto parlando delle racchette da neve, usate un tempo dai montanari per muoversi nelle valli e che oggi vengono ampliamente utilizzate per vivere la bellezza dei boschi e delle montagne ricoperte dalla neve. Il successo delle ciaspole va ricercato nella loro semplicità di utilizzo e nel fatto che non necessitano di particolari conoscenze o attrezzature; insomma sono adatte a tutti. L'ambiente in cui ci si muove però non è esente da pericoli e se si è proprio alle prime armi è meglio affidarsi ad una guida che ti accompagnerà in tutta sicurezza attraverso ambienti fiabeschi.
Per iniziare a ciaspolare innanzitutto ti serviranno un paio di racchette da neve. Sul mercato ne esistono di diversi tipi e diversi prezzi; in base al tuo peso e al tipo di utilizzo che ne vorrai fare dovrai scegliere il modello più adatto. Per i percorsi semplici le ciaspole entry level, quelle che si pongono in una fascia di cento euro circa, sono già sufficienti. Su internet si trovano buone offerte ma se sei al primo acquisto il mio consiglio è quello di rivolgerti ad un negozio specializzato. Se invece vuoi provare l'esperienza prima di fare l'acquisto, la scelta migliore sarà il noleggio delle ciaspole presso i negozi specializzati o quelli di sci.
Anche se durante una ciaspolata le temperature sono molto basse, lo sforzo fisico impiegato per ciaspolare è elevato e in poco tempo il nostro corpo inevitabilmente si riscalderà. Per cui bisognerà vestirsi a strati, esattamente come si fa per le escursioni nella bella stagione. La tuta da sci non è una buona scelta in quanto è ingombrante ed eccessivamente imbottita, l’abbigliamento ideale prevede quindi diversi strati che possono essere rimossi o aggiunti all’occorrenza. A contatto con la pelle è bene utilizzare una canottiera termica, in grado di mantenere il nostro corpo caldo e asciutto, come secondo strato si può utilizzare un pile in tessuto tecnico e traspirante, infine si può utilizzare un gilet antivento. Come ultimo strato, da indossare in caso di sosta o di freddo intenso, è d’obbligo una giacca pesante, meglio se anche impermeabile, in grado di proteggere dal freddo e dal vento. Per le gambe andranno utilizzati pantaloni tecnici da trekking invernali, che garantiranno un’ottima performance in termini di comodità, impermeabilità e protezione. Per quanto riguarda le calzature, queste devono essere alte sopra la caviglia ed impermeabili; per evitare che gli scarponi o i pantaloni si bagnino troppo ti consiglio l‘uso delle ghette.
Durante l’inverno è molto importante proteggere le estremità e soprattutto la testa, da cui perdiamo moltissimo calore. Un paio di guanti, una cuffia ed uno scalda collo sono indumenti indispensabili per proteggersi dal freddo e dagli spifferi; scegli dei guanti comodi che non si inzuppino facilmente, una cuffia in tessuto tecnico ed eventualmente un passamontagna. Io personalmente non amo il passamontagna, preferisco utilizzare uno scalda collo che all’occorrenza alzo sul naso a protezione di guance e bocca.
Come ti ho già anticipato, l’ambiente nevoso in cui ci si muove durante un ciaspolata non è esente da pericoli, il più evidente e conosciuto è il pericolo valanghe ma non è il solo. Camminare con le ciaspole ai piedi richiede uno sforzo supplementare del 40%, quindi il tempo di percorrenza di un itinerario può anche raddoppiare rispetto allo stesso senza neve. Inoltre la neve fresca ricopre ogni cosa e se cade in abbondanza copre anche molti punti di riferimento, cansando problemi di orientamento se non si conosce la zona. D’inverno le giornate sono più corte e il freddo può essere molto intenso, zone in ombra o raffiche di vento possono far calare la nostra temperatura corporea in pochi minuti portandoci, se non adeguatamente equipaggiati, verso lo stato di ipotermia. In ultimo il pericolo valanghe, prima di ciascuna escursione bisogna sempre consultare il bollettino valanghe emesso dai previsori e in ogni caso bisogna stare lontani dalle zone potenzialmente pericolose. Per quanto riguarda gli strumenti per la ricerca e il soccorso di persone travolte da una valanga (ARTVA, pala e sonda) non è sufficiente averli con sé ma bisogna anche saperli utilizzare. Come vedi il discorso sulle ciaspolate è vario e copre diversi ambiti, ciascuno dei quali va approfondito per non essere impreparati e ridurre al minimo i pericoli. Muoversi sulla neve fresca è un’esperienza fantastica che ti consiglio di provare almeno una volta, ma come tutte le attività all’aperto non va presa sotto gamba.
La rosa canina è un arbusto spinoso che può raggiungere i due metri d'altezza, facente parte della famiglia delle Rosacee. La si può trovare allo stato selvatico in tutte le zone temperate del mondo ed è la specie di rosa più diffusa in Italia. Cresce in collina ed in campagna, ad altitudini fino a 1600 metri, soprattutto su aree vaste e molto soleggiate ma è possibile trovarla anche al margine di boschi o boscaglie in qualità di arbusto pioniero. Questa rosa fiorisce verso maggio-giugno, con delle rose poco profumate e dai colori tenui, la bacche invece raggiungono la maturazione durante i primi freddi dell'inverno. Le bacche, caratterizzate da un colore rosso e da una consistenza carnosa, sono dei falsi frutti; esse derivano dalla modificazione del ricettacolo fiorale e contengono al loro interno degli acheni che sono i frutti veri e propri della rosa canina. La caratteristica più importante della bacca di rosa canina è il suo altissimo contenuto in vitamina C, infatti a parità di peso, queste vantano 40 volte la vitamina C contenuta nelle arance. La vitamina C è un potente antiossidante che contribuisce a migliorare le nostre difese immunitarie ed a ostacolare i radicali liberi e quindi l'invecchiamento cellulare. Inoltre stimola la sintesi di collagene, una proteina che fa parte del tessuto cutaneo, delle ossa e delle cartilagini, dei tendini e dei vasi sanguigni. Oltre alla vitamina C le bacche contengono anche bioflavonoidi, sali minerali e tannini che rendono le bacche utili in caso di diversi disturbi. I preparati a base di rosa canina quindi sono tonici per il corpo affaticato e sotto stress, sono disintossicanti, antinfiammatori, migliorano la circolazione sanguigna, stimolano il sistema immunitario e grazie ai tannini, contenuti in grande quantità, risultano preziosi per curare fenomeni di natura diarroica. Il periodo migliore per la raccolta è novembre, dopo le prime gelate, in modo da avere un buon contenuto di vitamina C e un gusto non troppo aspro. Una volta raccolte, prima di essere consumate, le bacche vanno aperte per rimuovere i semi interni e i peletti. La bacca è piuttosto piccola e coriacea, per la rimozione dei semi ti consiglio di usare un coltello oppure un cucchiaino e di indossare dei guanti, i peletti sono leggermente urticanti. Per incamerare il maggior quantitativo di vitamina C, il modo migliore è senz'altro quello di mangiare le bacche mature e fresche, cioè appena raccolte e private dei semi interni. Già con l'essiccazione si perde una parte di vitamina C e lo stesso avviene in tutte quelle preparazioni che prevedono l'utilizzo di calore, come i decotti o le tisane. Per la tisana si utilizzeranno i cinorroidi essiccati, circa un cucchiaino da lasciare in acqua bollente per 10 minuti. Per il decotto invece si possono utilizzare i cinorroidi interi, immersi in acqua bollente per 10 minuti oppure mediante l'infusione a freddo; si scalda l’acqua a temperatura corporea e si lasciano le bacche in infusione per 6 ore circa. Le bacche in fine possono essere anche utilizzate per preparare sciroppi, liquori e marmellate.
Il castagno (Castanea sativa) è un albero molto longevo, diffuso in tutta la penisola nei boschi collinari che vanno dai 200 agli 800 metri sul livello del mare. Presenta una corteccia, di colore grigio-brunastro che tende a screpolarsi con il passare degli anni, le foglie sono di forma lanceolata e con margine seghettato. Questo albero, in passato, ha rappresentato un'importante risorsa per le popolazioni rurali collinari e montane, sia dal punto di vista alimentare sia per il suo legno. Nell'ultimo secolo purtroppo i boschi di castagno si sono ridotti di molto a causa delle mutate condizioni economiche e a causa di una serie di patologie legate all'azione di alcuni parassiti. I boschi di castagno non più gestiti tendono a sparire sopraffatti da altre specie arboree maggiormente competitive. Come detto in precedenza, quest’essenza arborea ha garantito la sussistenza alle popolazioni rurali grazie alle sue peculiarità. Il legno di castagno è molto ricco di tannini, ha un'ottima resistenza all'umidità ed agli agenti atmosferici, non è sensibile alle variazioni di temperature e, per queste ragioni, veniva utilizzato per tutta una serie di costruzioni come serramenti, infissi, travi e paleria varia. Come legna da ardere si comporta bene in caso di buona stagionatura, infatti il suo potere calorico è inversamente proporzionato alla quantità di tannino in esso contenuto (maggiore è la stagionatura e maggiore sarà la resa). Il tannino, estratto dal legno, veniva utilizzato per la concia delle pelli. Il castagno produce frutti denominati castagne, destinate da sempre all’alimentazione umana. La castagna è un alimento molto nutriente ed energetico, molto simile ai cereali dal punto di vista nutrizionale. Ha un contenuto calorico di circa 200 kcal in 100 grammi, è molto ricca di amido, vitamine del gruppo B e possiede una buona percentuale di sali minerali quali: potassio, fosforo, sodio, magnesio, calcio e ferro. Il periodo migliore per la raccolta inizia dalla seconda metà di ottobre. Le castagne si possono mangiare crude, lesse oppure arrostite sul fuoco. Se si lasciano seccare poi si possono macinare per ricavare una farina che può essere usata per varie ricette tra cui il castagnaccio. Riconoscere le castagne non dovrebbe essere un problema, esiste però un albero simile originario dei Balcani, l'Ippocastano (Aesculus hippocastanum). Questo è un albero utilizzato spesso come ornamentale in parchi e giardini, si distingue dal castagno per la forma delle foglie: il castagno le ha semplici, inserite alternate sul ramo, l'ippocastano le ha composte. Sono diversi anche i ricci, quelli del castagno sono ricoperti da aculei sottili molto fitti, quelli dell'ippocastano presentano aculei radi e tozzi. La castagna matta, il seme dell’ippocastano, ha un sapore amaro ed è leggermente tossica quindi non commestibile. |
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Marzo 2022
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