Con la bella stagione durante le gite fuoriporta o in mezzo al verde, può capitare di incontrare dei rettili come le lucertole, i ramarri o i temutissimi serpenti. Questi ultimi non godono di buona fama e molto prima di essere identificati come simbolo del male, i serpenti sono sempre stati oggetto di una paura atavica; nei nostri geni c’è scritto che dobbiamo scacciare questi animali, per la nostra stessa sopravvivenza. Questo però non deve e non può giustificare il puntuale massacro di rettili nella bella stagione, dovuto ad una sbagliata educazione ed alle leggende antiche che raffigurano i serpenti come creature malefiche e mortali. Per prima cosa bisogna dire che la maggior parte degli incontri con i serpenti riguarda esemplari non pericolosi appartenenti alla famiglia dei Colubridi, come il Biacco (Coluber viridiflavus), o alla famiglia dei Natricidae, come la Biscia dal Collare (Natrix natrix). Va ricordato come questi serpenti siano utilissimi all’ interno dell’ecosistema poiché la loro dieta è formata quasi esclusivamente da topi, ratti ed insetti dannosi. Le vipere sono gli unici serpenti velenosi esistenti in Italia; le quattro specie presenti sono distribuite in tutte le regioni, ad eccezione della Sardegna, dove non sono presenti serpenti velenosi. Le vipere presenti sul territorio nazionale* sono la Vipera aspis, diffusa sulle Alpi e sugli Appennini, ha un’indole mite e solitamente fugge se molestata; la Vipera berus (Marasso palustre) diffusa sulle Alpi anche oltre i 2200 metri, è piuttosto aggressiva; la Vipera Ammodytes (vipera dal corno) presente soprattutto nel nord-est Italia e la Vipera Ursinii presente nell’Appennino Abruzzese ed Umbro-Marchigiano. Le vipere sono animali eterotermi, la loro temperatura corporea è legata a quella dell’ambiente e superano l’inverno grazie ad una fase di latenza che termina verso marzo quando i maschi vagano alla ricerca di una compagna. In questo periodo, essi sono meno accorti ed è più facile incontrarli. La riproduzione della specie è ovovipara, sviluppano l’uovo fecondato direttamente nel corpo della femmina e al momento della deposizione la membrana ovarica si rompe e i piccoli vengono alla luce perfettamente formati. L’areale delle vipere è costituito da prati, zone collinari, e boschi estendendosi fino al limite delle praterie, in quota è facile trovarla su pietraie, cumuli di pietre o mucchi d’erba. Come tutti gli esseri viventi necessita di bere una certa quantità d’acqua per cui difficilmente la troveremo in zone troppo aride; solitamente la ritroviamo vicino a ruscelli, pozze d’acqua o incavi della roccia dove si possono accumulare una piccola quantità d’acqua. In Friuli Venezia Giulia sono presenti tre delle quattro specie* di vipera che vivono in Italia. La vipera comune (V. aspis) presente dall’alta pianura fino alla costa dell’adriatico; il Marasso palustre (V. berus) presente sulle Alpi friulane anche oltre i 2000 metri e la vipera dal corno (V. ammodytes) presente sulle Alpi e Prealpi fino a 1700 metri. La vipera dal corno è la più pericolosa vipera italiana per l’uomo a causa della quantità di veleno posseduta (10 – 35 mg) e che può essere inoculata con un morso. Deve il suo nome comune ad un’appendice carnosa posta sulla punta del muso, può raggiungere i 90 cm di lunghezza ed eccezionalmente superare il metro. La sua colorazione può variare dal marrone al grigio con un disegno di colore più scuro lungo il dorso somigliante ad una serie di rombi uniti o ad una linea a zig zag. Senza dover ricordare le caratteristiche morfologiche di ciascuna specie, esistono dei segni caratteristici che permettono di distinguere le vipere dai Colubridi (non velenosi). La prima caratteristica riguarda la testa che nei viperidi assume una forma quasi triangolare e si distingue nettamente dal corpo; la seconda caratteristica riguarda l’occhio che nella vipera presenta la pupilla in posizione verticale (simile al gatto) mentre nei Colubridi è rotonda. Queste sono caratteristiche difficili da cogliere se il serpente viene visto di sfuggita, la caratteristica più facile da individuare è la forma del corpo. La vipera è piuttosto tozza e la coda, pur terminando a punta, è breve; ci sono pochi centimetri fra la parte del corpo col massimo diametro e la punta della coda. I Colubridi hanno, al contrario, una forma più allungata ed affusolata con una diminuzione del diametro del corpo dalla testa verso la coda molto più graduale e ben visibile. Gli incontri troppo ravvicinati con le vipere si verificano molto raramente a meno che non si vada in cerca di guai per sbadataggine, distrazione o curiosità. Durante un’escursione è bene seguire alcune regole di prevenzione come camminare al centro del sentiero, indossare calzature alte, camminare con passo cadenzato e pesante battendo le erbe e le pietre con un bastone, non raccogliere istintivamente ogni cosa da terra, ispezionare attentamente il luogo in cui ci si desidera sedere, non mettere le mani sotto rocce, sassi o dentro le fessure del terreno e prestare attenzione quando ci si disseta ad una fonte o quando si cammina su una pietraia. Nella malaugurata ipotesi che veniate morsi da un serpente in primo luogo bisogna riconoscere il tipo di serpente autore del morso; se per vari motivi non è stato possibile vedere il serpente bisogna osservare il punto del morso. Se osservate due evidenti puntini rossi ad una distanza di 0,5 – 1 centimetro l’uno dall’altro il morso è di vipera, in mancanza dei due puntini e con la presenza di una fila di piccoli puntini della stessa dimensione il morso è di colubro. Bisogna prestare attenzione anche se nel morso si osserva la presenza di un solo punto più grande degli altri; è possibile che la vipera abbia perso uno dei due denti veleniferi. I sintomi caratteristici di un morso di vipera sono arrossamento, gonfiore, dolore, formicolio e cianosi che nei primissimi minuti sono localizzati nella zona circostante il morso, ma che rapidamente si espandono verso la periferia. Nell’arco di un’ora iniziano a comparire anche gli effetti sistemici, rappresentati da nausea, vomito, dolori muscolari, diarrea, collasso cardiocircolatorio e shock con perdita di coscienza. In caso di morso è fondamentale mantenere la calma, il soggetto colpito deve essere rassicurato, tranquillizzato e mosso il meno possibile in quanto l’attività muscolare favorisce la diffusione del veleno. La sede del morso va disinfettata con sostanze prive di alcool, se possibile si può effettuare un bendaggio a monte della ferita per fermare la circolazione linfatica che veicola il veleno subito dopo il morso. Assolutamente da evitare la rimozione del veleno con incisione, spremitura o suzione; si può usare la siringa apposita che si compra in farmacia. All’infortunato si possono somministrare bevande eccitanti come té o caffè (caffeina) che aiutano ad evitare un pericoloso calo pressorio, non devono essere somministrate bevande alcooliche in quanto l’alcool è un vasodilatatore. In fine il siero antiveleno non va né procurato né portato al seguito nello zaino, questo è una risorsa ospedaliera che va conservata a temperature basse e può provocare una reazione allergica più grave del morso stesso. Il forte impatto emotivo che causa l’incontro di un serpente porta spesso le persone all’uccisione di questi rettili creando un grosso danno all’ecosistema. I pericoli e le eventuali conseguenze dopo un morso esistono e non vanno sottovalutate. In ogni caso è bene sapere che il numero di casi di morso di vipera è assai basso, non sempre al morso di vipera corrisponde l’inoculazione del veleno (il 30% sono morsi secchi), che gli esiti dell’avvelenamento sono legati all’età e allo stato di salute della persona colpita e che l’avvelenamento raramente ha esiti mortali. **Da poco più di un mese è stata scoperta una nuova specie di vipera chiamata Vipera walser. La specie appena scoperta popola le valli vicino Biella, nel Piemonte orientale, e non è molto diversa dal Marasso Palustre (Vipera berus). Test genetici hanno dimostrato che dal punto di vista della parentela il Marasso e la Vipera dei Walser sono più lontani di quello che si pensava, tanto lontani da permettere di considerarle due specie distinte.**
2 Comments
Fino a non molti anni fa, sulle nostre montagne erano in pochi ad usare i bastoncini da trekking, non era raro incontrare escursionisti muniti di un bastone ricavato da un ramo spezzato ma di bastoncini in alluminio o carbonio nemmeno l'ombra. I primi che ho visto con i bastoncini erano stranieri, principalmente tedeschi e austriaci, pionieri dell'uso di due bastoncini usati sia in salita che in discesa.
Io fin da ragazzo ho sempre usato un bastone singolo ricavato da un ramo per poi abbandonare anche questo soprattutto nei percorsi più facili. Per anni ho effettuato escursioni senza bastoncini, ritenendoli scomodi e poco utili durante i miei trekking. Ultimamente ho intrapreso un trekking di tre giorni, con uno zaino abbastanza pesante e per l'occasione ho deciso di portare con me i bastoncini per alleviare un po' la fatica da caviglie e ginocchia. Fin dai primi passi ho avuto subito la sensazione che camminare con il supporto dei bastoncini da trekking sia tutt’altra cosa rispetto che farlo senza. L'utilizzo dei bastoncini ha migliorato il mio equilibrio fornendomi in ogni occasione almeno tre punti di appoggio, ha garantito una maggior trazione in salita e più stabilità in discesa, dandomi maggior sicurezza visto lo zaino abbastanza pesante. Una parte del mio peso e di quello dello zaino è stato scaricato sulle braccia alleviando parte dello sforzo da caviglie e ginocchia, soprattutto in discesa ho notato un sollievo a livello delle articolazioni delle gambe riuscendo a percorrere più strada prima di dover fare una pausa. Ovviamente ci sono anche degli aspetti negativi, in passaggi impervi o dove c'è la necessità di avere le mani libere possono essere d'intralcio, in tratti brevi ho tenuto i bastoncini con una sola mano, liberando una per aggrapparmi ad un appiglio. Su tratti lunghi però vanno sicuramente chiusi e riposti nello zaino; e in questo caso mi è stato molto d'aiuto il sistema "stow-on-the-go" del mio zaino Osprey Kestrel 38. In definitiva sono rimasto molto soddisfatto della scelta di portare con me i bastoncini, mi hanno dato una grossa mano sia in fase di ascesa che di discesa, garantendomi sempre un buon equilibrio nonostante lo zaino pesante. In futuro per trekking lunghi sicuramente tornerò ad utilizzarli, per uscite brevi con uno zaino leggero probabilmente sarebbero più utili in fase di discesa dove un miglior equilibrio permette un ascesa più rapida. In futuro valuterò il loro utilizzo anche per trekking brevi e vi farò sapere la mia opinione. |
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Marzo 2022
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