Il Monte Flop fa parte del gruppo Sernio - Grauzaria, nelle Alpi Carniche e dalla sua cima è possibile dominare gran parte della Val d'Aupa, vallata che da Moggio Udinese si estende sino alla Sella di Cereschiatis. Si tratta di una montagna massiccia, ricoperta da mughi, che chiude a nord il vallone di Flop fronteggiando le pareti settentrionali della Creta Grauzaria. L'altro versante si affaccia invece sulla val d’Incarojo e sulla conca di Paularo. Il ritrovo è fissato per le 8:30 all’hotel Carnia e dopo un caffè veloce partiamo per la val Aupa; superato Moggio Udinese e percorsa per un buon tratto la strada che porta a sella Cereschiatis lasciamo l’auto nei pressi del ponte sul Rio Fontanaz. Indossati gli scarponi risaliamo la strada asfaltata fino a raggiungere località case Nanghez, da dove parte la mulattiera con segnavia CAI 437 che porta al rifugio Grauzaria; la giornata è splendida ma molto calda, la prima parte per fortuna è interamente nel bosco e questo allevia almeno in parte le pene della salita. Il sentiero risale piacevolmente il bosco fino a quando raggiungiamo un vecchio pascolo dove la vista si apre all’improvviso sull’imponente (e suggestiva) Sfinge della Grauzaria. In breve attraversiamo il Rio Fontanaz e siamo al rifugio Grauzaria, glorioso rifugio alpino di quelli di una volta, si raggiunge solamente a piedi e le provviste arrivano in teleferica. Dopo aver bevuto una birra e scambiato due parole con il nuovo gestore proseguiamo con il CAI 437 in direzione del Foran da la Gjaline che raggiungiamo in una quarantina di minuti passando prima in un bel bosco di faggi e poi in quello che resta del vecchio pascolo dell’antica casera Foran da la Gjaline. Dalla sella si apre una splendida vista sulla parete orientale del monte Sernio e si scorge anche il ricovero del Mestri. Dal Foran proseguiamo verso est su una vecchia mulattiera che ci permette di attraversare in quota tutto il versante erboso che sovrasta la val Aupa, fino alla sella posta tra le due cime del monte Flop. Poco prima della sella deviamo sulla traccia che si stacca sulla nostra sinistra e prima su crinale erboso e dopo tra i mughi raggiungiamo in breve la panoramica cima est del monte Flop (1.715 m). Splendido è il panorama sul gruppo Sernio - Grauzaria ma anche sulla Creta di Aip e sul Monte Cavallo di Pontebba, sul gruppo del Zuc dal Bor, sullo Zermula e sulle splendide Val Aupa e Valle d’Incaroio. Con calma e con la pausa al rifugio ci abbiamo messo poco meno di tre ore per raggiungere la cima, ora è giunto il momento di mangiare qualcosa e fermarsi un attimo ad ammirare il panorama. Purtroppo la nostra sosta non dura molto, verso nord le nuvole iniziano ad addensarsi e sembra proprio che verso Paularo stia già piovendo. Ripercorriamo il sentiero a ritroso fino alla sella tra le due cime del Flop e proseguiamo sulla destra; per un bel tratto il sentiero corre aereo con visuale aperta, poi all’improvviso entriamo nel fitto bosco che precede la forca Zouf di Fau, sbucando infine sulla strada sterrata che ci porta in breve al ricovero Zouf di Fau. Il ricovero è situato in una bella radura posta sotto la parete del monte Flop; firma al libro della casera e si riparte, il pericolo pioggia non è ancora scongiurato. Ci ributtiamo nel bosco di faggio dove il sentiero a tratti è molto ripido, incrociamo e seguiamo per un tratto la forestale che sale a forca Griffon e infine costeggiamo il rio Chialdercis. Finito il sentiero siamo nei pressi delle case di Gialloz, ancora qualche passo su strada asfaltata e siamo di nuovo dove abbiamo lasciato l’auto la mattina.
Resoconto: Itinerario ad anello abbastanza lungo come chilometraggio e con più di mille metri di dislivello, indicato quindi per persone allenate. L’anello lo si può percorrere indifferentemente in senso orario o antiorario; il rifugio Grauzaria è aperto nel periodo estivo, mentre la casera Zouf di Fau è sempre aperta (cinque letti con materassi). Una variante più semplice adatta a tutti è la salita al rifugio Grauzaria dalla località case Nanghez dove si può lasciare l’auto, in questo caso andata e ritorno avvengono sullo stesso sentiero, il CAI 437.
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La vallata di Sauris offre diverse possibilità per delle tranquille ciaspolate di un paio di ore, senza difficoltà tecniche su comode strade forestali. Inoltre l'elevata quota che si può raggiungere in auto garantisce di trovare sempre un buon quantitativo di neve. Parcheggiamo l'auto a Lateis poco dopo l'ultima abitazione, sulla strada che porta a forca di Frumeibn. Quest'oggi ci siamo risparmiati qualche metro di dislivello, ma in caso di molta neve è possibile lasciare l'auto nella frazione dove c'è un ampio parcheggio. Indossati gli scarponi ci incamminiamo lungo la strada asfaltata seguendo le indicazioni per la via delle malghe. La salita in questo punto è abbastanza ripida, ciò permette di guadagnare quota rapidamente e godere di uno splendido scorcio sul lago sottostante. La strada è fin da subito coperta di neve ma ormai questa si è compattatata e per ora le ciaspole restano attaccate allo zaino. Superata una costruzione in breve arriviamo alla radura della forca di Frumeibn dove troviamo un tavolo con panca e un pannello informativo con i percorsi della zona. Lasciamo perdere le deviazioni alla nostra sinistra e proseguiamo lungo la strada ora in leggera discesa. Camminiamo immersi in un bosco misto di abeti e faggio sul versante orientale del monte Olbe fino a raggiungere un'altra radura; siamo giunti in località Hinter d'olbe, dove sorgono alcuni suggestivi stavoli. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, una coltre candida ricopre i tetti e i pascoli, il cielo azzurro esalta le cime innevate ed il silenzio è assoluto. Superata l’ultima costruzione rientriamo nel bosco scendendo fino al Rio Temberle, dove troviamo un bivio con numerose indicazioni sulle possibili destinazioni della zona. Proseguiamo verso sinistra in leggera salita sulla strada che costeggia il rio, tutt’un tratto uno scoiattolo attraversa rapido la strada e sparisce tra gli alberi. La strada si fa un po’ più pendente ma dopo due tornanti camminiamo di nuovo in falso piano; siamo quasi arrivati al rifugio Eimblateribn che nei fine settimana è aperto. Non sono passate nemmeno due ore da quando siamo partiti ma decidiamo lo stesso di fermarci un attimo per una birra e per goderci un po’ il sole che oggi scalda molto. Dopo circa mezz’oretta ripartiamo seguendo la strada che scende verso Sauris, al primo bivio giriamo sulla sinistra e poi, a quello successivo, seguiamo l’indicazione per baita Mingher. La strada ora si fa più ripida e la neve, ormai molla, rende difficoltosa la salita; è il momento di indossare le ciaspole. In poco più di mezz’ora siamo a baita Mingher, una struttura privata che però viene lasciata aperta a disposizione degli escursionisti. Qui mangiamo i nostri panini sulla panca esterna, godendoci la bellissima giornata ed il silenzio della natura. Finito il pranzo ripartiamo in direzione di Lateis, il primo tratto in discesa è abbastanza ripido e si svolge su sentiero; questo termina con un piccolo guado e si raccorda con la strada forestale che sale agli stavoli Petris. Ancora un quarto d’ora di strada, a tratti molto ripida, e siamo di nuovo al tornante dove abbiamo lasciato la macchina.
Resoconto: Itinerario molto semplice senza alcuna difficoltà tecnica, non molto remunerativo se si cercano panorami maestosi ma che sa regalare degli scorci davvero suggestivi. Il rifugio Eimblateribn è aperto d’inverno nei fine settimana, mentre la baita Mingher è un edificio privato ma sempre aperto, non si possono accendere fuochi all’interno ma c’è un apposito spazio all’esterno.
Il ritrovo è fissato alle 8:45 a Tolmezzo; il celo è ancora grigio ma verso nord ovest le nuvole iniziano ad aprirsi. Durante la notte ha nevicato abbastanza e verso metà mattina le previsioni mettono bel tempo. La metà è decisa, proveremo a raggiungere casera Plotta percorrendo la strada forestale che passa per casera Val di Collina. Lasciamo l'auto nei pressi del terzo tornante della strada per il passo di monte Croce Carnico, ci sono almeno trenta centimetri di neve fresca e quindi indossiamo fin da subito le ciaspole. Appena dopo la partenza incontriamo un bivio dove manteniamo la destra proseguendo in costante salita lungo la strada forestale attraverso un fitto bosco di abeti e di faggi carichi di neve. Il sole inizia a fare capolino tra le nuvole ma folate di vento gelido non permettono ancora di togliere le giacche. Dove il bosco è più fitto le ciaspole grattano a volte su qualche sasso, ma nel complesso c'è sufficiente neve e procediamo in modo spedito battendo la traccia. Dopo aver costeggiatto un piccolo torrente l'ambiente in cui ci muoviamo cambia repentinamente; un'ampia radura si apre davanti a noi dove un lungo rettilineo ci porta a sfiorare i resti di un edificio. Il rettilineo termina con due tornanti in corrispondenza della fine della vallata, superiamo un rio quasi ghiacciato e affrontiamo in leggera salita il breve tratto fino a casera Val di Collina (1.450 m). La casera, ormai abbandonata, sorge in un pianoro estremamente panoramico e domina l'intera parte alta della vallata del But regalando una bellissima cartolina raffigurante il Polinik, il Pal Piccolo, il Pal Grande, il Cuelat, Cima Avostanis, la Creta di Timau, il Gamspitz, il Monte Terzo ed il Cimon di Crasulina. Dopo un paio di foto riprendiamo la marcia, ora il quantitativo di neve inizia ad aumentare e la fatica sale; sempre sulla strada forestale copriamo circa duecento metri di salita fino a raggiungere un bivio, a sinistra si va a casera Collina Grande, proseguendo sulla destra si giunge alla Casera Plotta. La strada in questo tratto costeggia un pendio abbastanza ripido ma la temperatura rigida e la mancanza di scariche di neve ci permettono di proseguire senza troppe preoccupazioni. Man mano che avanziamo la vista si apre sulla cima del monte Floriz finchè anche il rifugio Marinelli diventa ben visibile; siamo quasi giunti a destinazione, ancora un tornante ed ecco Casera Plotta (1.760 m). Il panorama è meraviglioso, davanti a noi si stagliano il monte Floriz, il Pic Chiadin, la Creta Monuments e la creta di Collinetta; il manto nevoso è di tutto rispetto, le staccionate della casera sono sommerse per più della metà. La casera è chiusa ma il ricovero invernale ci fornisce un po' di riparo dal vento freddo che ogni tanto si leva impetuoso; il ricovero è fornito di tavolo, panche, stufa e legna. Dopo aver mangiato qualcosa ed esserci riposati un pochino ripartiamo in direzione della casera Collina Grande, l'idea è quella di scivolare lungo il pendio fino ad intercettare la strada forestale che sale alla casera. Perdiamo quota rapidamente finchè non intercettiamo la strada; la seguiamo verso sinistra, superiamo un guado e siamo di nuovo all'incrocio con la strada percorsa in salita. Ora ripercorriamo la stessa strada dell'andata; superiamo casera Val di Collina e proseguiamo fino al primo tornante nel bosco dove prendiamo il sentiero cai 161 che attraverso il bosco ci fa risparmiare un po' di strada. Le ciaspole ormai non servono più, ancora una decina di minuti e siamo di nuovo all'auto. Resoconto: Itinerario molto appagante dal punto di vista dei paesaggi, si parte in un bellisimo bosco per giungere alla radura di casera Val di Collina dove si apre uno splendido panorama sulla valle del But. Proseguendo si supera il limite del bosco attraversando i pascoli alpini coperti da una continua coltre candida. L'itinerario fino a casera Plotta è abbastanza lungo e se la traccia non è battuta può risultare faticoso; dopo casera Val di Collina la pendenza del versante lungo la strada aumenta ed esiste la posibilità che si formino delle slavine.
Finalmente dopo un paio di anni scarsi in termini di precipitazioni nevose quest'anno tutto l'arco Alpino è stato imbiancato verso metà novembre; ora con ulteriori nevicate e con l'abbassamento delle temperature le condizioni per ciaspolare sono delle migliori. Per questa domenica abbiamo scelto di salire a malga Glazzat, utilizzando la strada forestale che parte nei pressi di sella Cereschiatis. Poco lontano dallo spiazzo dove abbiamo lasciato l'auto parte la strada forestale di servizio per la malga; il paesaggio è splendido, i pini sono carichi di neve e tutto è coperto da una coltre bianca. Indossiamo fin da subito le ciaspole e iniziamo a seguire il binario già tracciato, temevo di dover battere la traccia ma qualcuno ci ha già preceduti, probabilmente il giorno prima. La strada avvolta nel bosco ci porta a compiere alcuni saliscendi, superiamo un paio di canaloni di scarico acqua e una piccola casupola per il fieno. Ora la strada inizia a salire, con un paio di tornanti guadagnamo quota rapidamente fino a raggiungere i margini di un'ampio pascolo; siamo giunti nei pressi di malga Glazzat Bassa. Seguendo la traccia nella neve puntiamo verso il centro della radura fino a raggiungere una panchina con tavolino quasi sommersi dalla neve. Da questo punto possiamo scegliere, o proseguiamo percorrendo la strada o utilizziamo il sentiero che permette di tagliare un tornante. Visto la traccia già battuta optiamo per il sentiero, dalla panca puntiamo dritti il bosco dove ci inoltriamo superando alcuni rami bassi piegati dalla neve. Tutto è coperto da una spessa coltre di neve, i rami carichi si piegano e rendono il passaggio angusto; sembra di essere a Narnja. Superato un breve tratto ripido il sentiero piega a destra e dopo un traverso esce dal bosco, passiamo accanto ad un abbeveratoio e rincontriamo la strada che sale da Galzzat Bassa. La nostra meta non dista molto ormai, siamo in marcia da poco più di un'ora e per allungare un po' decidiamo di riprendere la strada forestale che in leggera salita ci porta ad aggirare il monte Glazzat. Giunti ad un crocevia seguiamo le indicazioni per la malga e in pochi minuti sbuchiamo nella radura sommitale, il panorama che si apre davanti a noi è maestoso; tutte le cime fino a valle sono imbiancate. Verso est spicca la lo Jof di Miezegnot e dietro, inconfondibile, lo Jof di Montasio, poco più a destra si apre l'ampio vallone dei Gleris poi in basso la val Aupa e la valle di Pontebba. La malga d'inverno è chiusa ma sono presenti diversi tavoli all'esterno; con l'aiuto di una ciaspola ripuliamo una porzione di tavolo dalla neve e ci fermiamo per mangiare i nostri panini. La giornata è splendida, il cielo è di un blu intenso e al sole si sta bene anche se ogni tanto si alza una leggera brezza artica. Dopo un oretta di sosta ripartiamo; per scendere decidiamo di scivolare lungo i prati proprio al di sotto della Malga, saltellando nella neve fresca in breve intercettiamo la forestale dove ritroviamo il bivio per il sentiero nel bosco. Giunti a Glazzat bassa riprendiamo la strada percorsa all'andata; ora all'ombra inizia a fare freddo, aumentiamo il passo ma subito ci fermiamo, a pochi metri da noi due caprioli risalgono il bosco e attraversano la strada balzando agili nella neve. Felici per questo bel incontro proseguiamo fino a raggiungere nuovamente la strada asfaltata, dove togliamo le ciaspole e riprendiamo l'auto. Resoconto: Itinerario facile che permette di ciaspolare attraverso un bellissimo bosco e consente a tutti di raggiungere la panoramica radura dove è situata la Malga. Il dislivello è minimo e la meta è frequentata, quindi è facile trovare una traccia già battuta. La malga d'inverno è chiusa ma ci sono diversi tavoli esterni che possono essere utilizzati. Il punto di partenza si può raggiungere da Pontebba oppure da Moggio, parcheggio abbastanza ampio in prossimità di Sella Cereschiattis.
Il Krn (Monte Nero 2.245 m) si trova nelle Alpi Giulie slovene e fa parte del vasto gruppo del Triglav. Tale cima è molto famosa e frequentata (seconda solo al Triglav), sia per la sua forma particolare che ricorda un lavatoio (Lavador), sia per ragioni storiche; il 16 giugno 1915 gli Alpini del 3° reggimento, con un'abile ed audace azione ne conquistarono la cima, mantenendone il controllo fino alla disfatta di Caporetto del '17. Diverse sono le vie di salita, noi abbiamo scelto per questa escursione quella che parte dopo il paese di Krn presso il parcheggio del rifugio Planina Kuhinja a quota 990. Giunti al punto di partenza la giornata si preannuncia fantastica, i colori dell’autunno dominano il paesaggio e un sole tutt'altro che autunnale splende nel cielo azzurro. Già alla partenza il panorama è di tutto rispetto, i pascoli punteggiati di malghe sono limitati verso nord dalle cime del Krn, del Batognica e del Maselnik, il tutto mi ricorda, seppur in miniatura e con più erba, il nostro altopiano del Montasio. Dal rifugio imbocchiamo il sentiero bollinato che con un percorso pressoché rettilineo ci porta a superare alcuni cancelli e a lambire i fabbricati di malga Slapnik (1.240 m). Vicino al fabbricato principale è presente una fontana, l’ultima fonte d’acqua per chi si dirige verso la cima. Il sentiero prosegue con pendenza costante intersecando la strada di servizio alle malghe e in seguito va a raccordarsi con la vecchia mulattiera militare che solca il pendio sud del Monte Nero. La salita è costante, mai troppo ripida e mai poco ripida, il nostro incedere viene reso difficoltoso dal gran caldo, siamo a metà ottobre ma sembra di essere ancora in estate. Man mano che prendiamo quota il panorama verso sud è sempre più ampio, nelle valli c’è un po’ di foschia dovuta all'inversione termica ma le cime sono ben visibili fino al golfo di Trieste. Giunti ad un bivio proseguiamo sulla mulattiera verso la sella Krnska Skrbina, la via diretta alla cima la utilizzeremo per la discesa. A vista la cima non sembra lontana ma uno sguardo all'altimetro ci riporta alla realtà, mancano ancora 450 metri. Prima di proseguire ci concediamo una breve sosta; ora il panorama si apre in parte anche verso est, l’Antelao svetta all'orizzonte, oggi sembra davvero vicino. Riprendiamo la marcia lungo la mulattiera che con una serie di tornanti e un lungo traverso ci porta alla sella Krnska Skrbina (2.050 m); suggestivo solco, ricco di reperti di guerra posto tra la cima del Monte Nero e quella del Monte Rosso (Batognica). Dalla sella in circa venti minuti, un po’ su traccia battuta un po’ su balze erbose, siamo finalmente in cima. Il panorama è spettacolare, da questo punto si possono ammirare tutte le Giulie italiane e slovene; il Triglav svetta imperioso in primo piano mentre all'orizzonte si notano i 3000 austriaci imbiancati. Grazie alla splendida giornata verso est spicca l’Antelao e assieme a lui gli altri giganti dolomitici come il Pelmo ed il Civetta. Anche la vista verso la pianura non è per niente banale, anche se leggermente limitata dalla foschia. La cima è estremamente affollata, per lo più da escursionisti sloveni assai rumorosi, per cui dopo aver mangiato i panini decidiamo di ripartire per la discesa dirigendoci verso il rifugio Gomisckovo (2.182 m) che risulterà chiuso ma anch'esso molto affollato. Dal rifugio il sentiero scende molto ripido con strette svolte fino a raccordarsi con la mulattiera percorsa in salita. Perdiamo quota molto rapidamente e le ginocchia di certo non ringraziano; percorriamo la parte centrale della discesa assieme ad un ex alpino incrociato durante la salita che ci allieta la discesa con alcuni racconti riguardanti la conquista del Krn da parte degli Italiani durante la Grande Guerra. Finalmente siamo di nuovo a malga Slapnik, dove troviamo sollievo grazie alla fontana; manca ancora un po’ di strada ma il peggio è passato. Giunti infine al rifugio Planina Kuhinja niente Jota, troppo caldo, ma una bella Lasko ce la meritiamo proprio.
Resoconto: Percorso che non presenta alcuna difficoltà tecnica (difficoltà E) ma prevede il superamento di un dislivello superiore ai 1.000 metri su sentiero con pendenza costante e con esposizione a sud. Sconsiglio di percorrere l’itinerario nelle giornate più calde, necessaria una buona scorta d’acqua in quanto dopo quota 1.200 non sono presenti fonti. Nell'itinerario si può includere la visita al Monte Rosso (Batognica) con una deviazione nei pressi di sella Krnska Skrbina.
Il monte Forato (Prestreljenik) è la seconda cima per altezza del vasto Gruppo del Canin e sicuramente è la più suggestiva per merito della presenza del famoso foro che lo caratterizza. La nostra escursione ha inizio nei pressi del rifugio Gilberti che abbiamo raggiunto nel pomeriggio del giorno precedente (CAI 635) e dove abbiamo passato la notte. Intorno alle 8:30 ci mettiamo in marcia verso sella Prevala; dal rifugio il sentiero (CAI 636) scende di una cinquantina di metri per poi risalire l'ampio vallone detritico sulla destra della pista da sci. La funivia è in funzione da pochi minuti e già diversi escursionisti alle nostre spalle imboccano il sentiero che abbiamo appena percorso. Superato il punto più basso inizia la salita che, con pendenza costante, in meno di un ora ci porta a Sella Prevala 2.067 m. Dalla sella si gode di uno splendido panorama sia verso ovest, conca del Prevala, Bilapec e gruppo del Montasio sia verso est lungo il vallone che scende a Bovec. Dopo una breve sosta ripartiamo, l'attacco del sentiero non è facile da individuare; non sono presenti particolari indicazioni, solo un accenno di sentiero che porta ad un cavo metallico. Superato il ripido tratto costeggiamo i resti di una trincea ed iniziamo a salire alla base delle Cime Pecorelle tra rocce, erba e qualche piccolo inghiottitoio. Giunti nei pressi della stazione intermedia della seggiovia slovena proseguiamo lasciando sulla sinistra il bivio per l'Okno, ora il sentiero si fa più stretto e in qualche punto esposto, in meno di venti minuti con qualche facile passaggio di primo grado siamo sulla cima del monte Forato (2.499 m). Sono trascorse poco più di due ore dalla nostra partenza, la cima è molto affollata sia da Italiani ma soprattutto da Sloveni, la cabinovia Kanin è in funzione e probabilmente molti l'hanno utilizzata. Il panorama è davvero esteso, nonostante un po' di foschia dovuta all'anticiclone africano si riconoscono facilmente le cime più vicine e quelle più lontane; il Matajur, lo Stol, il Canin, l'Amariana, il Coglians, il gruppo del Montasio, il Mangart e il Triglav. Dopo la firma del libro di vetta e qualche foto decidiamo di ripartire subito ed andare a mangiare il panino alla finestra naturale dell' Okno, quindi scendiamo di un centinaio di metri sul sentiero dell'andata fino al bivio con la nuova via ferrata "Zavarovana plezalna pot Prestreljenik" L'inizio della via prevede il superamento con un paio di staffe di una piccola sporgenza rocciosa strapiombante, superata questa percorriamo una cengia opportunamente scavata in alcuni tratti e sempre dotata di cavo passamano. Ci muoviamo verso occidente con un percorso praticamente pianeggiante, assecondando alcune rientranze della parete giungiamo al punto più interessante del percorso; un salto roccioso verticale che superiamo agevolmente con l'aiuto di staffe metalliche ed alcuni appigli rocciosi. Concluso questo passaggio la cengia attrezzata prosegue in piano, compiendo un ampio arco verso destra fino al foro nella roccia calcarea. Anche al foro troviamo diverse persone ma riusciamo comunque a mangiare il nostro panino e scattare un paio di foto, la vista che si apre verso Sella Nevea è davvero impressionante. Per il rientro decidiamo di percorrere la "via normale" che prevede il passaggio di due brevi tratti attrezzati e un ripido ghiaione prima di giungere nei pressi dell'arrivo degli impianti di risalita; qui optiamo per prendere la seggiovia (4 euro) che porta a sella Prevala, risparmiando così almeno un chilometro di cammino. Il trasporto meccanizzato è davvero piacevole e permette di ammirare dall'alto i solchi e gli inghiottitoi tipici dell'ambiente carsico. Scesi a sella Prevala ripercorriamo il sentiero dell'andata per tornare al Gilberti dove ci fermiamo per una Radler bella fresca; ora non ci resta che rientrare a Sella.
Resoconto: Itinerario completamente in ambiente roccioso, un po' faticoso in alcuni tratti ma privo di particolari difficoltà. La ferrata si sviluppa quasi interamente in piano, solo un breve passaggio presenta una risalita (o discesa) ripida, attrezzata con fittoni; il cavo è sempre presente. Il foro (Okno) è raggiungibile anche tramite "via normale" che costringe però alla risalita di un ripido ghiaione. Sfruttando la cabinovia di Sella Nevea il tempo di percorrenza e il dislivello dell'itinerario si riducono, una bella idea (come descritto sopra) è quella di dividere l'escursione in due giorni per passare la notte al rifugio Gilberti.
“Il Montasio è il più grande e possente. Da qualunque parte lo si guardi non si troverà un lato che per via di aggruppamenti lo faccia apparire mediocre o meschino…e quando appare, non si ricorre alla carta per identificarlo: è lui, non c'è dubbio, è il Montasio”. J. Kugy Messi gli scarponi e indossato lo zaino iniziamo la nostra escursione poco distante dal agriturismo Malga Montasio (1500 mt); senza cercare la traccia tagliamo per i pascoli verso Forca dei Disteis. Dopo mezz'oretta e un paio di marmotte infastidite incrociamo il sentiero di salita che arriva dal rifugio di Brazzà. Ora la pendenza aumenta e il sentiero prosegue altalenante fino alle strette svolte proprio sotto la forca dei Disteis (2201 mt). Siamo in marcia da più di un'oretta e purtroppo, a differenza di quando siamo partiti, diversi nuvoloni bianchi e molto veloci ci nascondono lo splendido panorama sulle imponenti bancate calcaree del Montasio. Arrivati alla Forca il sentiero sfiora un impressionante gola dove alcuni stambecchi si muovono agilmente facendo rotolare in basso una gran quantità di pietre. Continuiamo a salire ora su ghiaia, fino alla deviazione che ci porta a tagliare con un traverso il ghiaione per raggiungere la base delle grandi pareti rocciose del Montasio. Ora siamo proprio sotto le pareti rocciose, è giunto il momento di indossare il casco; iniziamo a salire il sentiero che zigzagante prosegue verso destra e ci permette di superare alcuni gradoni rocciosi. Continuiamo a seguire i bolli rossi che ci indicano la via, lasciata sulla destra la deviazione per il sentiero Leva ci infiliamo in un canalone che ci porta fino alla base della scala Pipan (2550 mt). All'attacco lo spazio non è molto ma riusciamo comunque ad indossare gli imbraghi; siamo immersi in una nube che rende l'atmosfera cupa e freddolosa, verso l'altipiano ogni tanto si apre qualche scorcio di panorama. L'attacco è composto da alcuni pioli per superare uno sperone roccioso, poi inizia la vera e propria scala: due grosse funi metalliche lunghe un centinaio di metri sulle quali sono stati fissati i pioli. Superato il primo tratto lasciamo passare alcune persone in discesa per poi percorrere l'ultimo spezzone della scala. Giunti alla fine superiamo l'ultimo tratto roccioso aiutati in parte da funi metalliche fino a raggiungere la cresta sommitale. Camminiamo ora sul filo di cresta, gli strapiombi sono colmi di nubi che però verso nord sono meno insistenti e permettono di ammirare i monti della val Dogna, Saisera e del tarvisiano. Dopo circa 15 minuti dal termine della scala, siamo in cima (2753 mt). Dopo un po' decidiamo di ripartire scendendo per il canalone Findenegg; dalla vetta proseguiamo camminando verso ovest su di una porzione di cresta magnifica, aerea e molto esposta dove bisogna prestare attenzione anche se la via è piuttosto larga. Superata una prima parte relativamente facile il percorso si fa più impegnativo, con salti di roccia e piccoli passaggi di primo grado che oltrepassiamo con calma e molta attenzione. Lungo il canalone è difficile non far cadere un po' di sassi, probabilmente la salita da questa via sarebbe stata più semplice. Usciti dal canalone percorriamo delle cenge aeree collegate da brevi passaggi di primo grado, ancora qualche salto di roccia e infine incrociamo il sentiero che arriva dalla cengia Grande. Qui le nuvole sono meno insistenti e possiamo godere di una splendida vista sui Curtissons e sul monte Zabus; a questo punto una visita al bivacco Suringar (2430 mt) è d'obbligo. Da questo punto in poi le difficoltà tecniche calano, ad ogni modo l'attenzione va tenuta alta; torniamo sui nostri passi fino al bivio per il canalone Findenegg e proseguiamo dritti per imboccare la Grande Cengia. Puntiamo decisi la Torre Disteis che aggiriamo per portarci sul lato sud del massiccio, ancora qualche passaggio delicato su roccia e balze erbose e siamo di nuovo nei pressi di forca Disteis. Per rientrare all'altopiano decidiamo di divertirci un po' sfruttando il ghiaione pensile; con rapidi balzi scivoliamo sulle ghiaie perdendo rapidamente quota e raggiungendo ben presto la zona erbosa. Da qui tocca camminare, ripreso il sentiero dell'andata in circa quaranta minuti siamo di nuovo al parcheggio.
Resoconto: Itinerario per escursionisti esperti con tratti attrezzati (EEA) che alterna una prima parte su sentiero facile e una seconda parte in ambiente roccioso dove serve passo sicuro. Consiglio di seguire l'itinerario in modo inverso a quanto sopra descritto; ritengo sia più semplice percorrere il canalone Findenegg in salita.
La zona di Forni non la conosco più di tanto, per cui quando i miei amici hanno proposto Cima Camosci ho accettato di buon grado e mi sono presentato puntuale alle 8:00 presso la piscina di Tolmezzo. Dopo un rapido caffè a Villa e trenta minuti di strada eccoci finalmente a Forni di Sotto, dove lasciamo la statale per raggiungete il guado sul Tagliamento in località Vico. L' itinerario inizia subito dopo il greto del Tagliamento sulla carrareccia che porta agli stavoli Crovares (710 m) e poi continua inoltrandosi nella Val Poschiadea (CAI 364). Tale strada immersa in un bosco di faggio misto ad altre essenze, tra cui anche delle conifere (pino Silvestre), si insinua nella valle con pendenze modeste fino ad un paio di tornanti dopo i quali abbandoniamo la strada per proseguire su sentiero che ci porta fin sul greto del torrente. Fin qui il percorso è abbastanza intuitivo anche se i segnavia sono radi e diversi cartelli del parco sono oramai divelti dai loro pali. Giunti in corrispondenza di una briglia attraversiamo il rio Poschiadea portandoci sulla sua destra orografica, la traccia percorre il versante in parallelo al corso d'acqua fino al bivio col sentiero che sale verso il monte Chiarescons; noi prendiamo a destra scendendo di nuovo sul greto del torrente. In questa zona gli effetti dell'erosione sono davvero imponenti, davanti a noi appare un franamento di circa cento metri che ci obbliga ad un aggiramento dall'alto per ritrovare la traccia del sentiero che ora risale la Valle dell'Orso, inizialmente nel bosco poi tra gli arbusti di pino mugo. Man mano che prendiamo quota la vegetazione si fa sempre più rada, ora camminiamo in un catino erboso tappezzato da rododendri; verso nord il panorama inizia ad aprirsi fornendoci un bello scorcio sul Bivera e il Clap Savon. Il tracciato prosegue più evidente e meno ripido in direzione di forcella Lareseit; poco prima di raggiungere la forcella un frullare di ali attira la nostra attenzione, una femmina di Gallo Forcello si invola poco prima del nostro passaggio. Dalla forcella prendiamo il CAI 373a, con un paio di ripidi saliscendi oltrepassiamo gli sfasciumi dei rii che si insinuano nella valle dell'Orso e giungiamo fin sotto Cima Camosci (1.804 m) che però non raggiungiamo visto l'erba alta e la massiccia presenza di mughi. Giunti al bivio con il CAI 373 lo percorriamo in direzione nord verso il Col Masons, nella prima parte il sentiero corre panoramico in cresta, la veduta offre ampi squarci verso la Valle dell'alto Tagliamento con l'abitato di Forni di Sotto verso est, verso ovest le alte cime dei Monti Pramaggiore e Cornaget e verso nord il Tinisa, il Bivera e il Clap Savon. Dopo il tratto panoramico rientriamo nel bosco per aggirare il Col Mason e giungere all'omonima casera (1.553 m), una bella struttura recentemente ristrutturata adagiata su di un ripiano erboso. Fin qui siamo stati due ore e mezza (camminata effettiva) è giunto il momento di mangiare qualcosa e goderci un po' il sole. Per il rientro a valle riprendiamo il CAI 373, che prosegue alla spalle della casera attraverso i vecchi pascoli sommitali fino ad infilarsi nella faggeta, dove la pendenza aumenta notevolmente mettendo a dura prova le nostre ginocchia. Perdiamo quota rapidamente fino a sfiorare il margine di una zona profondamente erosa da cui si possono ammirare in tutta la loro maestosità le tre cime di Lavaredo. Il sentiero prosegue in discesa alternando tratti più o meno ripidi, incontriamo alcuni antichi pascoli e diversi edifici ormai diroccati fin che non ci immergiamo nuovamente nel bosco misto di conifere e latifoglie. Ormai siamo quasi in dirittura d'arrivo, l'ultimo tratto di sentiero lo percorriamo in piano parallelamente al Tagliamento per quasi un chilometro fino a tornare al punto di partenza. Resoconto: Itinerario molto selvaggio, soprattutto nella Valle dell'Orso e fino a casera Masons. La mancanza di una adeguata marcatura del sentiero 364 e il tratto eroso potrebbero creare dei problemi a chi a chi non sa muoversi bene nel bosco e su terreno non marcato. L'itinerario si svolge per la gran parte nel bosco in vallate ricche di acqua, ottimo da percorrere d'estate; di contro in alcuni punti l'erba è alta. Da casera Masons il sentiero è ben marcato e molto ripido.
L’escursione di oggi inizia dal lago superiore di Fusine, dove parcheggiamo l’auto nei pressi della locanda “Ai sette Nani” (941 m). La nostra metà sarà il rifugio Zacchi che raggiungeremo attraverso il sentiero che passa per l’Alpe Vecchia. Una volta pronti imbocchiamo con buon passo la strada forestale alle spalle della locanda che in breve ci porta ad un bivio subito dopo il ponticello sul rio Vaisonz. L’itinerario “tradizionale” prevede che al bivio si prosegua verso sinistra sulla carrareccia che porta allo Zacchi; tuttavia consiglio vivamente di passare per l’Alpe del Lago, da cui si gode di una splendida vista sul gruppo del Mangart e un suggestivo scorcio sul lago superiore. Quindi, al bivio dopo il ponte, deviamo a destra seguendo la strada che in pochi minuti ci porta all’Alpe del Lago; uno splendido pascolo di circa venti ettari posto proprio sopra il lago. La strada prosegue in direzione sud lambendo prima il bosco di abeti e poi l’omonima malga, le diverse mucche al pascolo non sembrano molto interessate alla nostra presenza e continuano nel loro brucare come se niente fosse. Superata la maga rientriamo brevemente nel bosco prima di giungere all’Alpe Tamer; raggiunto il piccolo pascolo lo superiamo costeggiandone il margine sinistro fino al bivio tra i sentieri CAI 517a e 513 (cartello vecchio con tempi sovrastimati). Dopo il bivio inizia il tratto in salita, fin qui infatti abbiamo camminato in falso piano per circa quaranta minuti, guadagnando solo pochi metri di altezza rispetto alla partenza. Il sentiero CAI 513 presenta per i primi 100 metri una buona pendenza, risaliamo con stretti tornanti un ripido canale ricoperto da vegetazione, il fondo è sconnesso e bisogna prestare un po’ di attenzione a dove si mettono i piedi. Superato il tratto ripido il sentiero continua in salita fino a raggiungere un tratto dolcemente ondulato che precede il pianoro dell’Alpe Vecchia (1.307 m), ora camminiamo agevolmente tra abetaie, rododendri e massi detritici Superato il bivio con il CAI 517 il bosco si dirada definitivamente garantendo una stupenda visuale sulle pareti del piccolo Mangart di Coritenza, della Veunza, della Strugova e sul gruppo delle Ponze. Proseguiamo lambendo i conoidi detritici posti alla base della Veunza e della catena delle Ponze fino a che il sentiero si raccorda con la carrareccia che sale al rifugio; sono passate due ore dalla partenza, ancora alcuni minuti su strada e saremo allo Zacchi. Giunti al rifugio (1.380 m) troviamo posto sulla terrazza panoramica, un buon piatto di tagliatelle al ragù di capriolo ce lo siamo meritato. Dopo aver pranzato, per il rientro al lago decidiamo di percorrere il CAI 512 che permette di risparmiare qualche chilometro rispetto alla strada forestale. Il sentiero parte in prossimità del rifugio e con una serie di stretti tornanti e gradini rocciosi permette di perdere quota molto rapidamente, superato un ultimo tornante il sentiero compie un lungo traverso a pendenza costante che ci porta a superare un piccolo guado e una scalinata di roccia. Dopo circa cinquanta minuti di discesa ci raccordiamo con la strada forestale che immersa nel bosco ci riporta fino al parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto.
Resoconto: Escursione semplice, in grado di regalare suggestivi panorami alpini. Distanza e dislivello sono contenuti ma non vanno sottovalutati alcuni tratti del sentiero CAI 513, che vengono resi insidiosi dal sottobosco umido e scivoloso.
Questa escursione è nata sostanzialmente dall’esigenza di conciliare due volontà; io volevo percorrere la forra del torrente Chiarsò, il mio amico Enrico voleva salire allo Zermula tramite il CAI 442 (Andrea non ha espresso volontà ed ha partecipato con entusiasmo). La soluzione è stata soddisfare tutte e due le volontà portando a termine un giro lunghissimo (epico oserei dire) che in certi frangenti, a causa di pessime battute dettate dalla stanchezza, ha quasi portato alla rottura di una buona amicizia. La nostra escursione (massacrante) parte da Villamezzo, frazione di Paularo, dove ha inizio il sentiero CAI 442. Nella prima parte il sentiero attraversa alcuni pascoli, poi dopo un guado, segue una vecchia mulattiera militare che attraverso il ponte Fuseit permette di raggiungere la forra denominata Las Callas. Accompagnati dal costante scrosciare dell’acqua superiamo alcuni ponticelli mantenendoci in quota rispetto al letto del fiume fino al bivio per Cuesta Robbia, dove iniziamo a scendere fino alla passerella metallica del Ponte Fuseit che ci permette passare sulla sponda sinistra del torrente Chiarsò. Superata la passerella si risale un attimo fino ad un bivio dove giriamo a sinistra per scende sul greto del torrente. Ancora alcuni minuti di sentiero e siamo di fronte all’imbocco di Las Callas; una stretta forra con pareti rocciose alte anche 200 mt che il torrente ha inciso con le sue acque impetuose. Questo è il tratto più appassionante (se non soffrite di vertigini), il sentiero scavato nella roccia risale la forra seguendo le forme sinuose delle pareti; si cammina in costante esposizione su roccia nuda accompagnati dal frastuono dell’acqua che scorre tra cascatelle, pozzi e marmitte. Superato questo tratto, interamente assicurato da una corda metallica, non ci resta che seguire il ripido sentiero per superare il dislivello che ci separa dalla rotabile per Cason di Lanza. Giunti sulla strada in prossimità dell’osteria da Nelut (1.100 mt) ci concediamo una breve sosta, questo era solo il riscaldamento; ora ci attende la salita allo Zermula. Presso l’osteria imbocchiamo di buon passo la carrareccia che conduce alla malga Zermula, alle spalle della quale il percorso continua su fondo erboso fino ad infilarsi nel bosco. Lasciamo sulla sinistra il bivio per casera Valutte e proseguiamo dritti uscendo dal bosco dopo alcuni tornanti, l’ampia mulattiera taglia il versante inerbito con comoda pendenza e permette di ammirare lo splendido panorama sulla conca di Paularo e sul gruppo del Sernio Grauzaria. Ancora alcuni tornanti per raggiungere Punta Cul di creta da dove il sentiero compie alcuni saliscendi passando vicino a gallerie e opere di guerra ormai in abbandono. Man mano che avanziamo la comoda mulattiera si trasforma in sentiero fino a raggiungere la cresta per gli ultimi metri che ci separano dalla grande croce di vetta; dopo quattro ore dalla partenza siamo in cima (2.143 mt). Il panorama di cui si può godere da questa cima è forse uno dei più appaganti in regione, la vista spazia per 360 gradi dalle Alpi Giulie alle Dolomiti fino ai ghiacciai austriaci. Abbiamo già percorso 12 chilometri e siamo solo a metà strada, Paularo è proprio sotto di noi, ma la via del ritorno sarà lunga. Dopo un’adeguata sosta ripartiamo seguendo il sentiero delle trincee che permette di visitare alcune fortificazioni del 15 – 18 e ci porta fino a forca di Lanza (1.832 mt) dove proseguiamo la discesa sempre su CAI 442 fino a forca Pizzul (1.708 mt). Da qui prendiamo il CAI 441 che in poco tempo ci porta a Casera Pizzul, la giornata non è troppo calda ma il sentiero in costante battuta di sole ci obbliga ad una pausa per riempire le borracce e riposare un pochino. Dalla casera riprendiamo il CAI 441 che dopo un tratto nel bosco si immette su di una strada forestale cementata estremamente ripida per poi tornare sentiero fino al greto del rio Turriea; ora non ci resta che percorrere l’ultimo tratto di strada che dalla frazione di Misincinis ci riporta alla macchina lasciata a Villamezzo. Resoconto:
Il giro come descritto è estremamente lungo e impegnativo sia per i chilometri che per il dislivello, praticamente abbiamo percorso due itinerari in un solo giorno. Il percorso nella forra del Chiarsò è molto particolare; adatto a tutti fino a Las Callas, per escursionisti esperti nel tratto scavato nella roccia. Una volta concluso il percorso lungo il torrente si può tornare indietro attraverso la rotabile oppure attraverso la stessa strada dell’andata. Per quanto riguarda il CAI 442 è sostanzialmente una vecchia mulattiera che sale il fianco sud ovest dello Zermula con pendenze costanti e mai eccessive. Nella parte sommitale sono presenti tracce storiche della Grande Guerra che poi continuano oltre la cima sul “sentiero delle trincee”. Il CAI 441 invece non mi è piaciuto molto a partire dalla Casera Pizzul in poi, sentiero molto ripido e con tratti sconnessi.
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Gennaio 2020
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