Il Monte Zaiavor (1.815 mt.) è situato in alta val Torre, nella parte meridionale del parco delle Prealpi Giulie ed è l’ultima elevazione importante verso est della catena dei monti Musi. La cima può essere raggiunta dal versante nord, partendo da sella Carnizza, oppure attraverso un percorso più lungo partendo da passo Tanamea. Il giro che abbiamo scelto per la giornata del primo maggio prevede la salita da passo Tanamea (850 mt.) attraverso il sentiero CAI 727 per poi rientrare con un giro ad anello passando per casera Nischiuarch. Il ritrovo è fissato con Enrico alle 8:30 in piazza a Tarcento; puntuali partiamo alla volta della Val Torre, dove dopo aver superato il Pian dei Ciclamini parcheggiamo l’auto nei pressi della vecchia caserma dei carabinieri presso il passo di Tanamea. Una volta pronti (ore 9:10) imbocchiamo il sentiero CAI 727 che ha inizio una cinquantina di metri prima del parcheggio, la traccia ampia e ben segnata risale il versante con una serie di tornanti all’interno di una faggeta. Prosegiuamo all’interno del bosco su pendenze abbastanza regolari fino a guadagnare un lungo traverso che ci porta sul versante nord del Rio Bianco; il bosco inizia a cedere in qualche punto donandoci alcuni scorci sul massiccio del Canin imbiancato dalle nevicate di fine marzo. Ora il sentiero diventa più articolato, alterna tratti in piano a pezzetti più ripidi, interseca una serie di impluvi e supera alcune bancate rocciose su cui notiamo alcune primule (Primula auricola). Giunti a quota 1.400 metri il bosco si dirada e davanti ai nostri occhi si apre una splendida valle alpina; il sentiero attraversa il rio Bianco e risale con ampie svolte i pascoli fino a raggiungere un profondo solco, la bocchetta di Zaiavor (1.608 mt.). Poco prima di raggiungere la bocchetta notiamo del movimento, un gruppo di una decina di camosci abbastanza giovani, probabilmente disturbati dalla nostra presenza, si muove rapidamente per mantenere le distanze di sicurezza. Dopo un’ora e tre quarti di cammino raggiungiamo la bocchetta, senza indugi giriamo a sinistra risalendo verso ovest i ripidi gradoni erbosi lungo il crinale; in circa venti minuti di faticosa salita siamo in cima. Sulla sommità è presente una piccola croce e un libro di vetta con tanto di timbro, il panorama è molto ampio e se non fosse per la foschia in pianura potremmo scorgere il mare senza problemi. Dopo una serie di foto e uno spuntino veloce deciciamo di ripartire (ore 12:00); vista la scarsa presenza di neve scegliamo di omaggiare il mitico Monsieur De Ravanage confermando l’idea di seguire la cresta per raggiungere casera Nischiuarch. Ridiscesi alla bocchetta prosegiuamo verso est affrontando un susseguirsi di saliscendi più o meno impegnativi che superiamo quasi sempre in cresta o poco sotto. Procediamo con passo sicuro e concentrazione alta fino all’ultima elevazione erbosa dopo la quale la traccia entra nella boscaglia e si fa più confusa, per due volte un frullare di ali ci mette sull’attenti; due coturnici in un solo giorno non capita spesso di vederle. Mantenendoci sul lato nord poco sotto la cresta perdiamo quota rapidamente, ogni tanto alcuni segnali giallo/rossi (parcelle forestali) ci indicano la via all’interno del bosco di faggio, punteggiato da diversi esemplari di Dentaria a nove foglie. Ancora un tratto nel bosco e dopo due ore ecco finalmente i verdi pascoli di casera Nischiuarch (1.182 mt.) dove ci fermiamo per una sosta. La parte sempre aperta della casera viene “gestita” da volontari che pian piano l’hanno equipaggiata con diversi comfort (stufa a legna, cucina a gas, supellettili varie, bagno esterno in ceramica…) che portano questa casera alla pari (o forse sopra) delle altre strutture sempre aperte del parco. Riprese le forze affrontiamo l’ultima parte dell’itinerario; dalla casera seguiamo il sentiero CAI 739 che si immerge nel bosco pochi metri sotto la casera. Superato un traverso siamo costretti ad afrontare una risalita a strette svolte, dopo di che il sentiero inizia a disegnare tornanti regolari scendendo verso valle. Prosegiuamo nella comoda discesa attraversando un vecchio pascolo con i resti di un edificio fino a raggiungere la rotabile in prossimità del ponte sul rio Bianco, ancora pochi minuti su strada asfaltata e siamo di nuovo al punto di partenza. Resoconto: L’itinerario come descritto è adatto esclusivamente ad escursionisti esperti (EE), sia per la lunghezza che per il tratto in cresta, impervio e privo di segnalazioni dove bisogna avere passo sicuro. E’ possibile percorrere un’anello simile che non presenta particolari difficoltà tecniche; una volta giunti alla bocchetta si scende lungo il sentiero CAI 727 nell'opposto versante fino a Sant'Anna di Carnizza e si raggiunge casera Nischiuarch lungo la vecchia strada sterrata. Anche evitando le difficoltà tecniche del tratto in cresta resta comunque un itinerario lungo e con molto dislivello.
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Autostrada, strada, curve, gallerie e finalmente dopo un’ora e venti siamo a Sauris di Sopra dove parcheggiamo l’auto in un ampio parcheggio proprio sopra il tapis roulant dei campetti. La giornata è splendida, in cielo non c’è nemmeno una nuvola e la temperatura è perfetta per una ciaspolata. La nostra meta è il monte Morgenleit la cui cima si può scorgere dal parcheggio, sembra davvero lontano! La neve in paese non è molta, per il momento le ciaspole le agganciamo allo zaino, sicuramente ci serviranno più in alto. Una volta pronti imbocchiamo la strada che porta a casera Festons e che fin dai primi metri presenta pendenze di tutto rispetto. La strada è innevata ma presenta alcuni tratti senza neve, indossare le ciaspole sarebbe inutile, in ogni caso c’è una buona traccia battuta che ci permette di camminare abbastanza agevolmente sulle rampe sempre più ripide. Una serie di stretti tornanti ci fa guadagnare quota molto rapidamente, camminiamo in uno splendido bosco di larici e abeti che ogni tanto lasciano intravedere grandi panorami verso il Bivera imbiancato. Dopo un ora di cammino giungiamo all’ultimo tornante a quota 1.740 m, da qui usciamo dal bosco e la pendenza della strada cala decisamente. Un lungo traverso taglia il versante del monte Festons in direzione dell’omonima sella, qui c’è decisamente più neve; camminiamo sempre senza ciaspole su traccia battuta fino ad incontrare il bivio per sella Rioda che ignoriamo proseguendo dritti. Ancora dieci minuti di cammino ed eccoci a sella Festons (1.860 m) da cui si apre un bellissimo panorama verso nord; la conca dove sorge la casera è candida di neve e tutte le cime circostanti sono cariche di neve, la voglia di ciaspolare è tanta ma il nostro obiettivo su trova sulla destra un centinaio di metri sopra di noi. Per la rapida salita alla cima del Morgenleit decidiamo di sfruttare il sentiero che sale a zig zag e che in qualche punto è privo di neve; in circa 25 minuti siamo in cima. Il panorama che si apre a 360 gradi di fronte ai nostri occhi è magnifico; il Tinisia, il Bivera, il Tiarfin, l'Oberkofel, i Brentoni, il Pieltinis e anche le Tre Cime di Lavaredo incorniciate dalla Forca Valgrande. Anche verso oriente lo sguardo si spinge lontano, riconosco facilmente la Creta di Aip, il Cavallo di Pontebba, lo Jof di Montasio, lo Jof Fuart e la cupola del Mangart. Dopo aver suonato la piccola campana e scattato una serie di foto ci godiamo una meritata pausa con panino mentre osserviamo la partenza in volo di due escursionisti saliti fin qui con il parapendio nello zaino. L’ora del rientro giunge rapidamente, per scendere decidiamo di sfruttare le nostre ciaspole ed il pendio innevato verso nord, che dopo un po’ di “ravanage” ci porta a lambire i laghetti nella conca di malga Festons. Ciaspolando su un ottima neve sfioriamo la malga e rientriamo alla forcella da dove riprendiamo la carrareccia percorsa all’andata. La strada del rientro è la stessa e la percorriamo con le ciaspole ai piedi fin quando possibile. In circa un ora di cammino siamo di nuovo all’auto; ora un bel piatto di affettato e una birra autoctona non ce li toglie nessuno. Resoconto: Ottima meta per un escursione invernale con le ciaspole; l’itinerario si sviluppa su strada forestale e carrareccia fino a sella Festons da dove parte il breve sentiero che porta alla cima del Morgenleit. Percorso indicato per persone con un minimo di allenamento visto le pendenze notevoli sia su strada che nell’ultimo tratto prima della cima. Bisogna prestare attenzione in caso di elevato pericolo valanghe nel traverso sotto il monte Festons, in caso si può abbandonare il sentiero individuando un percorso parallelo a questo ma distante una trentina di metri che permette di raggiungere la sella restando distanti dai ripidi pendii. Vista spettacolare a 360 gradi dalla cima.
Finalmente la neve, non molta, caduta abbondante solo sulle Giulie, ma tanto basta per tirare fuori le ciaspole dalla naftalina e affrontare la prima escursione in ambiente nevoso della stagione. Tra le poche alternative percorribili decidiamo di puntare sul tarvisiano, raggiungeremo malga Rauna e la cappella Zita partendo da Valbruna. Questo itinerario sembra fatto su misura per la stagione invernale, il punto di partenza è facilmente raggiungibile, basta risalire la strada per la val Saisera fino a raggiungere il limite del paese di Valbruna, in corrispondenza delle ultime abitazioni, poco dopo aver lasciato sulla sinistra l'ultimo bivio utile per entrare in paese, appare chiaramente il segnavia CAI 607 per malga Rauna dove è possibile lasciare l'auto nell'area di sosta che si trova di fronte all'imbocco del sentiero. Dal piccolo parcheggio imbocchiamo la carrareccia che si inoltra nel bosco in salita, i -8 segnati dal termometro ci danno la spinta per procedere spediti lungo la strada fino al secondo tornante dove ci fermiamo per calzare le ciaspole. Proseguiamo sempre sulla strada lasciando perdere le deviazioni per il CAI 607 che taglia il bosco con un percorso a maggiore pendenza. La pista prosegue alternando tornanti a tratti più ripidi all'interno di un bosco misto di Faggi e Abeti, dopo aver oltrepassato un falsopiano in ombra usciamo allo scoperto attraversando una piccola conca dalla quale si gode di un bello scorcio sul villaggio del Lussari. La strada inverte più volte la direzione assecondando i tornanti, il bosco muta in faggeta pura fino a diradarsi, ormai la nostra meta è molto vicina; lasciata a destra la deviazione per sella Nebria decidiamo di tagliare le ultime svolte raggiungendo malga Rauna da dietro su di un candido manto immacolato. La piccola struttura in legno presenta un tavolo, alcuni armadietti e due ripiani per dormire; dietro questa c’è una costruzione più recente ma chiusa, una tettoia con spolert e numerose panche completano gli arredi del pascolo. Sono passate due ore dalla partenza e dopo una sosta per mangiare qualcosa riprendiamo il CAI 607 fino a giungere, dopo pochi minuti, nei pressi della cappella Zita, costruzione eretta nel 1917 dai fanti austriaci in onore dell’imperatrice d’Austria. L’itinerario classico prevede il rientro a valle per la stessa strada ma vista la bella giornata e le ottime condizioni della neve, prendiamo la decisione di chiudere il nostro giro con un anello. Dalla cappella proseguiamo sul CAI 607 fino a giungere al bivio con il sentiero che proviene dallo Jof di Miezegnot, il sentiero non è battuto ma grazie alla ciaspole avanziamo agilmente immersi in una splendida abetaia. Dal bivio il sentiero prende la numerazione 608 e con una serie di stretti tornanti in un ambiente candido e fiabesco ci consente di raggiungere i pascoli di malga Strechizza (1359 m). La malga è adagiata in un’ampia radura sita al cospetto delle imponenti bastionate dello Jof di Miezegnot, un bagliore sulla cima attira la nostra attenzione; deve essere la croce di vetta illuminata dal sole. Dopo una brevissima risalita su carrareccia giungiamo in una radura più piccola con una splendida casa ristrutturata, il sentiero che scende alla forcella Nebria parte nei pressi di un particolare tronco di abete, posto sul limite orientale del bosco. Il sentiero scende nel bosco con tratti abbastanza ripidi, alternati a lunghi traversi fino ad arrivare all’ampia forcella Nebria. Ormai siamo quasi a Valbruna, l’ultimo tratto lo percorriamo su una carrareccia che porta sempre il segnavia numero 608. La carrareccia sbuca sulla strada che porta in val Saisera proprio all’inizio del paese, non ci resta che tornare all’auto seguendo la strada asfaltata. Resoconto: Itinerario perfetto per una ciaspolata, il punto di partenza è facilmente raggiungibile e la strada che sale a malga Rauna presenta pendenze costanti e solo in alcuni tratti impegnative. I più allenati potranno accorciare la salita utilizzando il CAI 607 che taglia diversi tornanti. Per il rientro è possibile compiere un anello passando per malga Strechizza (file GPS), itinerario che consiglio solo ai più esperti in quanto nevicate abbondanti possono coprire i segnavia nel bosco.
Ore 8:16 presso l’hotel Carnia, questo è il punto di ritrovo per la prima escursione del 2017. La meta sarà la creta dei Rusei in val Alba con un itinerario rivisitato rispetto a quello tradizionale, raggiungeremo la cima passando per il panoramico sentiero Palis d’Arint. Superato Moggio Udinese si percorre la strada della val d’Aupa fino all’incrocio per l’abitato di Pradis da dove parte la strada che in circa 5 km raggiunge il parcheggio posto a quota 1040 metri. Dal parcheggio seguiamo il CAI 428a che attraverso una faggeta ci porta fin sul greto del rio Alba per poi risalire al rifugio Vualt, durante il percorso si incontrano le deviazioni per il CAI 450 e per il ricovero Bianchi. In circa mezz’ora siamo al rifugio; situato in una panoramica radura presenta all’esterno una fontana e un grande tavolo, all’interno il vecchio e fumante fogolar è stato sostituito da un efficiente spolert in muratura. Dopo una breve sosta per togliere le giacche ripartiamo prendendo il CAI 425 proprio dietro il rifugio e in circa venti minuti raggiungiamo forcella Vualt immersi in una spettacolare faggeta composta da innumerevoli fusti coetanei. Qui veniamo accolti da un vento glaciale che ci porta ad imboccare rapidamente sulla destra il sentiero bollinato di blu “Palis d’Arint”; da subito la pendenza è impegnativa, il sentiero percorre piccole cenge, si inerpica lungo canaloni erbosi contornati da verdi mughi fino ad arrivare a brevi passaggi in cresta sempre in sicurezza e mai troppo esposti. Durante l’ascesa i versanti si alternano permettendo di godere di splendidi scorci sulla Grauzaria verso ovest, sul Chiavals e lo Zuc dal Bor verso est. Superato l’ultimo faticoso canale erboso giungiamo sul monte Vualt (1725 m), piccola cima panoramica su cui si erge un’essenziale croce in legno. Davanti a noi appare il piccolo ricovero Ciasut dal Scior (1744 m), gestito in modo impeccabile dai volontari di Dordolla, che raggiungiamo in pochi minuti scendendo dal monte Vualt. Dopo un paio di foto e un bicchiere di tè caldo ripartiamo per la nostra meta seguendo il CAI 422 che in discesa su di un sentiero perfetto ci porta a lambire la forcella Forchiadice (1612 m) prima di riprendere la salita verso la creta dai Rusei attraverso il CAI 425. L’ambiente in cui ci muoviamo è cambiato, il sentiero prende quota ricalcando una vecchia mulattiera attraverso i mughi su terreno roccioso e friabile, poco prima dei resti della casermetta a quota 1890, si stacca sulla sinistra la traccia segnalata (segno rosso giallo) che sale alla creta dei Rusei. Tale deviazione permette di raggiungere la vetta (1920 m) e richiede attenzione per l’esposizione e per un tratto ripido detritico. Dalla cima si gode di un ampio panorama, dietro il Chiavals si riconosce il massiccio del Montasio e il gruppo del Canin; verso la Carnia, Grauzaria e Sernio si ergono maestosi in primo piano, apena dietro fa capolino lo Zoncolan percorso dalle bianche piste, oltre i giganti austriaci con le vette imbiancate. Scesi dalla cima e tornati sulla mulattiera proseguiamo verso sinistra per raggiungere i resti di una casermetta militare e di una galleria che trafora la montagna, dopo averla visitata proseguiamo sempre sul CAI 425 verso forcella della Vacca. Dopo aver perso un centinaio di metri giungiamo sotto una parete verticale alla base della quale ci sono i resti di un piccolo ricovero, poco dopo sulla destra parte una vecchia traccia segnata con qualche sporadico pallino blu (tratteggio nero su Tabacco). In perfetto stile “ravanage” scendiamo rapidamente seguendo la traccia molto sdrucciolevole a causa dei detriti, cinque camosci non sembrano molto infastiditi dalla nostra presenza e continuano la loro ascesa su di un canalone impervio. Superato il tratto detritico la traccia vira nel bosco, ora il passo è più sicuro e spedito, in breve sbuchiamo proprio dietro l’ex ospedale militare. Da qui seguendo prima il sentiero che ricalca il percorso del gasdotto e poi la strada forestale ripassiamo per il rifugio Vualt e torniamo al parcheggio, molto soddisfatti per aver compiuto questo insolito anello. Resoconto: La val Alba è un piccolo gioiello collocato nel settore orientale delle Alpi Carniche meridionali, racchiude in sé un notevole esempio di ambiente alpino pressoché incontaminato che può essere visitato attraverso diversi percorsi ad anello. L’itinerario qui proposto permette di attraversare tutti gli ambienti caratteristici di questa valle, richiede però un buon allenamento e una certa capacità di passo su ambiente roccioso.
Il monte Guarda è l’estremo rilievo della lunga cresta sud del Canin, separa la val Resia dalla valle dell’Isonzo e permette di godere di una splendida vista sulle Alpi Giulie e sui monti sloveni; la cima si può raggiungere con diversi itinerari, il più semplice dei quali parte da malga Coot. Noi per l’escursione odierna abbiamo scelto di partire da Uccea, ultimo abitato prima del confine di stato sulla strada che collega Tarcento con Saga. L’appuntamento è per le 6:45 a Tarcento, caffè rapido al bar in piazza e via verso l’alta val Torre. Superato il passo di Tanamea la strada scende tra numerose curve fino al paese di Uccea (630 m). Il paese formato da una ventina di edifici non è completamente abbandonato, luci di natale testimoniano quali siano le case ancora abitate; il sole è appena sorto (7:40) ma la luce è ancora poca, la catena del Granmonte nasconde il sole e la brina ricopre ogni cosa. Il sentiero (CAI 733) ha inizio nei pressi del cimitero e fin da subito si inerpica ripido lungo le pendici del monte Caal; camminiamo su di un tappeto rosso di foglie immersi in un bosco di faggio, passando accanto a stavoli diroccati e vecchi pascoli in cui la rinnovazione si sta rapidamente impadronendo di ciò che l’uomo gestiva fino a pochi anni fa. Il sentiero prosegue ripido fino ad una radura posta dopo altri stavoli dove si insinua in un solco roccioso con alcuni gradini, superato questo tratto rientriamo nel bosco per percorrere alcuni tornanti che ci portano ad una seconda radura con un grande stavolo ancora in piedi. Passato il filo di una vecchia linea d’esbosco, con un paio di tornanti il sentiero raggiunge il fianco ovest del monte Caal da dove ha inizio il traverso che conduce ad una selletta a quota 1236 metri. Superato questo punto siamo in vista della casera Caal (1.208 m) che raggiungiamo dopo aver percorso il sentiero che taglia il versante nord del monte Caal e i pascoli della casera. Ad ogni mia visita la casera è sempre più bella, i ragazzi che la gestiscono fanno davvero un gran lavoro; dalla nostra partenza è passata un’ora e mezza, ottimo tempo, ma non possiamo fermarci a lungo, la nostra meta è ancora lontana. Riprendiamo il sentiero già percorso fino al bivio per il monte Plagne da dove parte una bella mulattiera che ci porta a risalire i ripidi prati alpini del monte Banera. Dopo un’oretta raggiungiamo la cresta da cui si apre una spettacolare vista sulla val Resia e sul gruppo del Canin; la giornata è splendida, fin ora fa caldo per il periodo ma in cresta un vento gelido proveniente da nord ci ricorda che siamo al 28 di dicembre. Da qui seguiamo il sentiero CAI 731 che segue la cresta a tratti sinuosa ma mai troppo stretta o esposta e ci porta dapprima al monte Plagne (1663 m) e infine alla cima del monte Guarda. La vista da questa cima è davvero particolare, con i suoi 1720 metri costituisce la testata della Val Resia e permette di dominare con lo sguardo buona parte della valle dell'Isonzo; non a caso gli Alpini la occuparono da subito nel primo conflitto mondiale per formare la terza fascia difensiva del Regio Esercito. Dopo alcune foto decidiamo di proseguire ancora un pezzettino e raggiungere il bivacco Costantini per pranzare al riparo dal fastidioso vento freddo; seguendo il sentiero in circa mezzora raggiungiamo lo sperone Mulaz sotto il quale è situato il bivacco in lamiera rossa. Verso le 12:30 decidiamo di ripartire, seguiamo il sentiero percorso all’andata fino al bivio per Uccea dove proseguiamo in cresta per il CAI 731 verso il monte Nische. Il sentiero percorre la lunga dorsale che collega il monte Plagne con il monte Nische, percorriamo di buon passo i prati di cresta abbassandoci lentamente di quota fino a che incontriamo i primi boschetti di carpino. Per un breve tratto il sentiero piega sul versante nord, poi entra in una splendida abetaia nei pressi della cima del monte Chila, dove sono presenti i resti dell’omonima casera e parte il sentiero per la discesa verso Uccea. Per tornare all’auto seguiamo il CAI 732, un sentiero ottimamente segnato ma che nel tratto centrale presenta pendenze molto importanti, sconsigliate sia in salita che in discesa con il bagnato. In poco più di un’ora siamo a casere Taptomalicucon sulla carrozzabile che porta a sella Carnizza, ultimo tratto di strada e siamo di nuovo ad Uccea. Resoconto: Itinerario lungo ma appagante da un punto di vista panoramico soprattutto nella parte alta del percorso quando il sentiero percorre la cresta fino al monte Guarda. L’itinerario può essere più breve di quello descritto; senza raggiungere il Costantini e tornando indietro per la stessa strada, comunque bisogna affrontare i mille metri di dislivello che separano Uccea dal monte Guarda. La casera Caal è sempre aperta ed è fornita di ogni comfort che una casera possa avere, non ci sono fonti d’acqua lungo il sentiero.
Sul monte Matajur ci sono già stato diverse volte; d’estate, d’inverno, di giorno, di notte, a piedi e in bici ma se capita l’occasione buona non ci penso due volte a puntare le valli del Natisone per raggiungere ancora una volta gli ampi pascoli che conducono alla chiesetta sommitale. L’appuntamento è per le 8:30 in piazza a Povoletto e da lì si deciderà la meta della giornata. Puntuali ci ritroviamo tutti e tre nel luogo prestabilito sotto un cielo grigio e una leggera nebbiolina. L’idea iniziale era quella di fare un giro sulle Zuffine, selvaggia zona compresa tra i paesi di Subit e Prossenicco, ma visto il tempo umido il timore di trascorrere la giornata nella nebbia è alto. Dopo una rapida consultazione decidiamo di non rischiare e spostiamo la nostra meta sul monte Matajur; a 1600 metri siamo quasi sicuri che sbucheremo fuori dalle nubi. Dopo circa quaranta minuti di strada, all’altezza di Montemaggiore la visibilità si riduce notevolmente e dopo alcuni tornanti, come da previsione usciamo da quel mondo umido e nebbioso sfrecciando su di una strada baciata dal sole che in poche curve ci porta al parcheggio del rifugio Pelizzo posto a quota 1.320 metri. Già da qui la vista è magnifica, il cielo è terso, un mare bianco si estende a perdita d’occhio e verso sud est alcuni monti emergono come scogliere dal mare. Il nostro itinerario parte dallo spiazzo antistante l'ingresso della costruzione, dopo pochi metri al bivio tralasciamo la traccia che sale direttamente alla cima per seguire il sentiero che ci condurrà fino alle malghe di Mersino (Marsinska Planina). Questa traccia, nominata sulle carte “sentiero naturalistico del monte Matajur”, taglia il versante sud ovest del monte mantenendosi costantemente sopra la linea del bosco attraverso i prati ormai ingialliti. Man mano che ci muoviamo verso occidente lo sguardo può spaziare verso l’alta pianura avvolta da una bianca coltre da cui affiorano solo le Prealpi e i giganti alpini oltre regione. All’orizzonte è facilmente riconoscibile la massiccia piramide dell’Antelao, più vicino svettano le Prealpi Carniche e quelle Giulie con il Cuarnan e il Cjampon primi fendenti della nebbia all’imbocco della valle del tagliamento; proprio di fronte a noi affiorano anche il monte Mia, il monte Joanaz e con nostro stupore anche le Zuffine. Dalle malghe di Mersino prendiamo il CAI 725, una comoda mulattiera che prosegue leggermente in salita lungo il versante nord, passiamo sotto il rifugio Dom Na Matajure, costeggiamo un laghetto artificiale e alcune vecchie strutture fino a giungere ad un nuovo bivio vicino ad una piccola rosa dei venti. Da questo punto si apre una splendida vista sui monti sloveni e la valle dell’Isonzo (Soča) priva di nebbia. Dobbiamo affrontare l’ultimo tratto per raggiungere la cima, il segnavia ora è il CAI 736, che attraverso un percorso più accidentato, pendente e con alcuni gradini rocciosi ci porta in poco più di 10 minuti sulla sommità. La cima (1.641 m) è affollata da numerosi escursionisti, stranamente il vento che soffia perennemente su questa cima oggi è particolarmente tenue; la vista come sempre è maestosa, verso sud ovest il mare di nubi la fa da padrone, verso nord est invece sono le montagne ad offrire uno spettacolo difficilmente descrivibile. Si parte dal Cjampon per seguire tutta la cresta del Gran Monte fino allo Stol, dietro i Musi e il monte Guarda fanno da scudieri al potente massiccio carsico del Canin imbiancato solo nella porzione sommitale. Verso la Slovenia in primo piano svetta il “lavador” del monte Nero (Krn), più in là il Mangart, lo Jalovec ed il Triglav, la vetta più alta delle Alpi Giulie. Dopo le foto di rito, la firma del libro di vetta (custodito nella chiesetta) e un rapido spuntino ripartiamo per tornare all’auto seguendo il CAI 736 che con alcuni passaggi su rocce affioranti ci porta fino alla “strada di Rommel” che seguiamo per pochi metri fino a svoltare a sinistra riprendendo la traccia denominata “sentiero naturalistico del monte Matajur”. La traccia taglia il versante sud orientale del monte attraverso un bosco misto di faggio e carpino portandoci di nuovo al parcheggio in poco più di mezzora e chiudendo questo facile anello che permette di attraversare diversi ambienti montani e di godere di splendidi scorci sia sulla pianura che sulle montagne.
Resoconto: Semplice anello che permette di scoprire tutti i versanti del monte Matajur, si può percorrere in qualsiasi stagione; d’inverno in caso di neve la strada viene chiusa subito dopo Montemaggiore. Dalla cima si può godere di un panorama a 360 gradi dalle Alpi fino al golfo di Trieste.
Il monte di Rivo presenta nel suo versante meridionale un vasto anfiteatro franoso costituito da una serie di calanchi quasi privi di vegetazione e da alcuni pinnacoli di erosione dalla forma molto bizzarra, chiamati Campanili del Lander. La formazione di questi pinnacoli è dovuta ad un’alternanza di livelli calcareo-dolomitici e calcareo - marnosi con giacitura pressoché orizzontale. Tale assetto ha prodotto un’erosione lungo linee di frattura verticali, isolando le pareti rocciose che col passare del tempo hanno assunto forme sempre più slanciate. Il punto di partenza per questa escursione si trova vicino a Piano d’Arta; oltrepassato il paese, subito dopo il ponte sul il rio Radice, si svolta a destra per una ripida stradina che porta ad una azienda agricola e alla cappella votiva della Maina della Madonute. Qui si segue la carrareccia di sinistra che risale la verde radura fino ad un edificio dove si può parcheggiare l’auto. Il sentiero lo conosco già, l’ho percorso una volta con la neve e una in discesa con la mia MTB; per i primi 150 metri sale deciso all’interno del bosco fino ad un crocifisso; punto di incrocio con il sentiero che sale da Piano d’Arta. Dopo il crocifisso il sentiero diventa più lieve e anche il fondo migliora; si entra in una favolosa abetaia dove solo alcuni raggi solari riescono a filtrare attraverso le fitte chiome creando un’atmosfera fiabesca. L'ascesa si fa più leggera grazie ai numerosi tornanti che zigzagano in un bosco ora vario, formato da diverse essenze come l’abete, il nocciolo, l’orniello e il castagno. Lungo la salita si incontrano numerosi muretti a secco e terrazzamenti, segno evidente di come questi boschi oramai quasi abbandonati venissero gestiti e sfruttati fin dai tempi antichi. Giunti attorno a quota 1100 mt, il bosco, ormai costituito in gran parte da abeti, lascia spazio ad alcuni esemplari di Larice ed a una splendida faggeta all’interno della quale si possono ammirare numerosi faggi secolari. Ancora qualche minuto di cammino e si giunge nei pressi del bivio per il monte Rivo, qui svoltando verso destra in meno di dieci minuti, attraverso un bosco misto di Faggio e Carpino si raggiunge il nuovo bivacco Lander. Il vecchio bivacco mi piaceva molto; era piccolo, rosicchiato dai ghiri e con la stufa bucata però aveva un suo fascino particolare. Quello nuovo è scintillante, più grande di quello vecchio e per ora (13/11/2016) è fornito di panche, un tavolo e una super cucina economica a legna. Una volta completato diventerà di sicuro uno dei più bei bivacchi del Friuli, sicuramente ci tornerò per un pernottamento. Proprio dietro il bivacco parte l’ultimo pezzettino di sentiero, che in circa dieci minuti porta ad una piazzola panoramica attrezzata con panca, tabellone informativo e campana. Il sentiero in questo tratto è abbastanza ripido, corre proprio sul filo della nicchia di frana che al ritiro dei ghiacci (10000 anni fa) provoco la formazione di un lago nella sottostante valle del But. Dalla piazzola posta a quota 1220 metri, si può osservare tutta l’ampia area denudata a forma di anfiteatro, costituita da una serie di gradoni scoscesi. Il paesaggio, molto suggestivo, mostra pinnacoli, torri e bastioni di roccia dalle forme e dimensioni più svariate. Tutto ciò è frutto dell'intensa erosione operata dagli agenti atmosferici su di un versante privo di vegetazione e con una giacitura degli strati orizzontale. Volgendo lo sguardo più a destra si può ammirare la vallata del canale di San Pietro, con i paesi di Arta Terme e di Zuglio, attraversati dal largo bacino del Torrente But. Nonostante questo itinerario non porti molto in alto e principalmente si sviluppi su versanti boscosi è in grado di regalare scorci e panorami davvero interessanti sulla vallata sottostante e sulle principali cime della zona. Dalla piazzola per tornare indietro si utilizza lo stesso sentiero, una pausa al bivacco è d’obbligo, soprattutto quando qualcuno ha già acceso il fuoco e sta arrostendo le castagne sullo spolert. Per tornare all’auto si utilizza lo stesso sentiero percorso all’andata; è possibile tuttavia accorciare un tratto sfruttando un sentiero non segnato, che una trentina di metri dopo il bivacco devia sulla sinistra per un pendio erboso abbastanza ripido. Resoconto: Escursione adatta a tutti, su sentiero semplice e ripido solo per i primi 200 metri; molto interessanti i paesaggi attraversati e la sugestiva nicchia di frana con i campanili.
Il monte Lovinzola, situato nelle Prealpi Carniche, è la seconda cima per altezza appartenente al gruppo del monte Verzegnis (m. 1914). Dai suoi 1868 metri è possibile ammirare uno splendido panorama, la vista può spaziare dall’affascinante profilo dell’Amariana fino alle lontane dolomiti, passando per le numerose cime della Carnia. Sul versante nord – est, quello visibile da Tolmezzo, si estende una cava a cielo aperto di marmo rosso; la cava posta a 1600 metri ha un fronte alto mediamente 15 metri e sviluppo trasversale di circa 250 metri. L’attività estrattiva, iniziata nel 1922, continua tutt’oggi grazie ai moderni mezzi meccanici ed a una strada di servizio che passa sul versante est del Colle dei Larici. Presso sella Chianzutan, lungo il versante sud e a quota 1650 metri del Colle dei Larici è possibile vedere tutt’oggi la partenza, i tralicci e l’arrivo della vecchia teleferica, entrata in funzione negli anni ’30 e che serviva a trasportare a valle i blocchi di marmo. L’itinerario ha inizio presso sella Chianzutan, a quota 955 metri dove lasciamo l’auto nell’ampio parcheggio del bar. Proprio di fronte a questo, nei pressi della vecchia gru per il carico dei camion parte il sentiero CAI 806 che attraverso una piacevole faggeta ci porta presso la ristrutturata casera Mongranda. Esattamente dietro la casera, vesso sinistra, il sentiero prosegue in rapida salita nel bosco e in circa un’oretta giungiamo ad un bivio. All’interno del bosco e sui prati i colori sono magnifici, il sole accende i colori caldi dell’autunno e in mezzo alle sfumature di giallo spiccano le rosse bacche della rosa canina. Al bivio giriamo a sinistra e proseguiamo piacevolmente lungo il sentiero fino ad un grande cartello didascalico che illustra il percorso denominato "sentiero delle creste". La prima parte di questo sentiero combacia con il CAI 806 che noi seguiamo fino ad arrivare alla casera Val (m. 1661); splendida casera ristrutturata da pochissimo utilizzando anche il marmo rosso estratto dalla cava. Dopo un’ora e mezza di cammino ci concediamo una pausa, più che altro per visitare il piccolo ricovero ricavato in uno dei due fabbricati adibiti a stalla. Recuperate le forze e soddisfatta la curiosità riprendiamo il percorso seguendo la traccia che proprio di fronte alla casera sale verso forcella Cormolina (m. 1764). Raggiunta la forcella giriamo verso destra ed iniziamo a seguire le paline rosa salmone (sentiero delle creste) attraverso una serie di saliscendi lungo delle suggestive creste erbose ed in un’ora e mezza giungiamo alla nostra meta, il monte Lovinzola (m. 1868). Con il passare delle ore si è formata un po’di nuvolosità che per fortuna si muove abbastanza rapidamente nel cielo azzurro, nascondendo solo a tratti lo splendido panorama a 360 gradi. Dopo le classiche foto di rito ripartiamo attraverso il versante sud seguendo le indicazioni su di un ripido prato fino a raggiungere la strada di servizio della cava. Raggiunta la strada aggiriamo il Colle dei Larici grazie ad una galleria ed in breve tempo arriviamo al sentiero che scende verso Sella Chianzutan e che ci permette di chiudere l’anello. Il sentiero scende lungo ripidi versanti erbosi, alternati da qualche tratto in un bosco misto di faggi e abeti; il sentiero non è sempre agevole e a dire il vero, non sembra godere di molta manutenzione a differenza dei segnavia fin ora percorsi. Nell’ultimo tratto il sentiero si trasforma in carrareccia, la quale ci riporta fino a casera Mongranda; ancora pochi minuti e il giro è concluso.
Resoconto: L’escursione è adatta a tutti e non presenta particolari difficoltà, gli itinerari percorribili sono numerosi e il giro può essere accorciato o allungato a piacere. L’autunno probabilmente è il periodo migliore visto l’atmosfera più limpida e gli splendidi colori del bosco.
La meta di oggi è il monte Zabus, la cima più alta di quella lunga dorsale roccioso - prativa che unisce idealmente lo Jof del Montasio e il Monte Cimone. Dalla sommità si gode di una splendida vista a 360 gradi sulle Alpi Giulie e Carniche; particolare risulta la vista sull’altopiano del Montasio, che può essere osservato in tutta la sua lunghezza dalla Malga Montasio fino all’inizio del bosco verso Sella Nevea. Sono le 8:00 e ancora una volta mi ritrovo sull’altopiano del Montasio, questa volta in compagnia dei miei amici carnici, Enrico ed Andrea. Erano almeno dieci anni che non passavo di qui, ora questa è la terza volta nel giro di un mese. Parcheggiata l’auto nell’ampio piazzale iniziamo a risalire la strada forestale che porta al rifugio di Brazzà, prima del quale imbocchiamo a destra il sentiero che sale allo Jof di Montasio. Il sentiero compie un lungo traverso su pendio erboso a quota costante e permette di avere già una splendida visuale sull’altopiano a sinistra e sulle ripide pareti calcaree della catena del Montasio a destra. Davanti a noi illuminato dal sole c’è il ripido versante dello Zabus, trecento metri di prato e roccette con pendenze importanti che affronteremo poi in discesa. Giunti all’incrocio con il sentiero che sale da Malga Montasio (1700 mt.) inizia la vera salita verso la Forca dei Distreis, oltre a noi tre ci sono diversi altri escursionisti, qualcuno è già alla forca, altri salgono come noi seguendo il sentiero, altri coraggiosi (o semplicemente più allenati!) salgono per la via più diretta tagliando per i pascoli e i ghiaioni. Dopo circa due ore di camino, poco al di sotto della forca, deviamo sulla sinistra abbandonando così il sentiero per la vetta dello Jof raggiungendo in breve la forca dei Disteis; arrivati a quota 2201 mt. appare davanti a noi l’impressionante voragine sul lato nord del Curtissons, il baratro della Clapadorie. Dalla forca proseguiamo verso sud ovest su traccia ben visibile che però si affievolisce presto, giunti in vista dell'affilata cresta dei Curtissons (Coltellacci) resta solo qualche debole solco probabilmente lasciato dai numerosi stambecchi che frequentano questi pendii. Decidiamo di seguire una traccia posta su erba mista a zolle che prosegue un paio di metri sotto la cima e che ci porta ad attraversare tutto il ripido versante del Curtissons fino a raggiungere la Forca Bassa (2070 mt.), un’enorme forcella con grandiosa vista panoramica sulla Val Dogna. Da qui proseguiamo sul filo di cresta iniziando a risalire il versante meridionale del monte Zabus attraverso balze di roccia alternate a zone erbose che ci costringono ad un continuo “ravanare” per trovare la via migliore. Dopo circa mezz’ora di salita dalla forca Bassa iniziamo a intravedere la cima (2244 mt.) ghiaiosa dove una volta arrivati, troviamo un grande ometto in pietra ad accoglierci. La vista è magnifica, verso nord la parete rocciosa cade nel vuoto quasi in verticale tra affilati spuntoni rocciosi e ampi conoidi detritici. Alcuni stambecchi tra cui uno molto piccolo, probabilmente nato quest’anno, sfidano le vertigini sotto di noi facendo rotolare una gran quantità di sassi. Verso sud invece lo sguardo scende rapido verso i pascoli dell’altopiano fino a Sella Nevea per poi rialzarsi seguendo le piste da sci fino a imbattersi nella maestosità del gruppo del Kanin. Volgendo lo sguardo verso est non si può che restare affascinati; ora capisco il perché di quelle parole scritte da Julius Kugy: “il Montasio è il più grande e possente. Da qualunque parte lo si guardi non si troverà un lato che per via di aggruppamenti lo faccia apparire mediocre o meschino…E quando appare, non si ricorre alla carta per identificarlo: è lui, non c'è dubbio, è il Montasio”. Nonostante alcune nubi che avvolgono la cima del Montasio, sulla parete Nord Ovest è ben visibile il bivacco Suringar, forse il bivacco più esposto di tutto l’arco alpino. Dopo un’oretta di sosta decidiamo di rientrare, seguiamo il percorso dell’andata fino alla Forca bassa, da qui lasciamo il costone che scende dai Curtissons e pieghiamo verso destra puntando il lontano rifugio di Brazzà. La discesa risulta abbastanza malagevole; erba, zolle, rododendri e tane di marmotte ci accompagnano lungo la discesa fino ad un’imponente affioramento di conglomerato che superiamo grazie ad uno scivolo erboso. La pendenza è notevolmente diminuita e le caviglie ringraziano, percorriamo gli ultimi metri che ci separano dal sentiero dell’andata attraverso una zona ad alta densità di marmotte che corrono e fischiano in ogni direzione. Dopo un’ora e tre quarti siamo al rifugio dove, dopo aver richiesto i timbri del “gira rifugi” ci godiamo una meritata birra fresca con vista sul Kanin. Resoconto:Percorso per escursionisti esperti (EE); semplice nella prima parte, poi dopo Forca dei Disteis, richiede attenzione poiché ci si muove su traccia poco marcata caratterizzata da zolle erbose cedevoli e spesso scivolose. La salita attraverso la cresta alla cima del Zabus richiede attenzione visto il baratro presente sul versante settentrionale.
Siamo nel cuore delle Alpi Giulie dove il vasto altopiano del Montasio viene delimitato verso nord da una lunga dorsale calcarea che parte dallo Jof di Montasio e si spinge per chilometri fino al Monte Cregnedul. A quota 2.531 metri, sulla cresta del Foronon del Buinz, troviamo adagiato su di un piccolo spiazzo il bivacco intitolato a Luca Vuerich, alpinista di punta nel panorama internazionale, scomparso nel gennaio 2010 a soli 34 anni travolto da una valanga. Il bivacco è costruito interamente con legno di abete rosso ed è appositamente studiato per sopportare i grossi carichi di neve che vi si possono depositare durante l'inverno; un vero gioiellino a disposizione di escursionisti, alpinisti e amanti della montagna. Il bivacco è stato costruito nel 2012 ma ne sono venuto a conoscenza solamente nel 2014 grazie alle foto di chi l'aveva già raggiunto. Da subito ho voluto andarci ma, forse qualcuno se lo ricorda, l'estate 2014 è stata disastrosa dal punto di vista meteorologico e l'anno successivo non sono riuscito a trovare un compagno di viaggio abbastanza esperto per affrontare un percorso non proprio banale lungo cenge e canalini rocciosi. Finalmente quest'anno ci sono riuscito, e vista la splendida giornata, ho completato un non programmato giro ad anello dai pian del Montasio attraverso il sentiero attrezzato Ceria Merlone. Ore 7:55, parcheggiamo l'auto nello spiazzo (1500 mt.) vicino alla strada che porta al rifugio di Brazzà; ci sono già parecchie macchine, probabilmente troveremo un po' di confusione. Risaliamo la forestale in direzione del Rifugio di Brazzà, dietro il quale imbocchiamo il sentiero che sale alla Cima di Terrarossa. La temperatura è frizzantina, sicuramente sotto i 20 gradi; il sentiero ancora in ombra risale il versante sud con numerosi tornanti, sfruttando le naturali cenge rocciose e attraversando alcuni rari spiazzi erbosi. Saliamo rapidi lungo il sentiero dove superiamo un paio di comitive e in poco più di un’ora arriviamo ad un bivio (2285 mt.): verso sinistra si stacca il sentiero che porta alla Cima di Terrarossa, noi prendiamo a destra imboccando il sentiero denominato Ceria Merlone. La prima parte del sentiero si sviluppa su di una cengia erbosa che corre un centinaio di metri sotto la cresta di Cima Gambon; dopo una quindicina di minuti dal bivio il sentiero si inerpica lungo un ghiaione che permette di raggiungere Forca de Lis Sieris (2274 mt.). La forca è formata da un ampio avvallamento incastonato tra la Cima Gambon ed il Foronon del Buinz; da qui lo sguardo può spaziare verso nord sulla Val Saisera e sullo jof Fuart, oppure verso sud sul Kanin e sull’altopiano del Montasio. Dopo una breve pausa per visitare alcuni resti di postazioni belliche, riprendiamo a camminare verso est salendo un ripido banco detritico che in breve ci porta a ridosso delle prime rocce alla base del Foronon del Buinz. Da questo punto il sentiero inizia ad essere attrezzato e si alternano facili roccette a passaggi di primo e secondo grado mai eccessivamente esposti. Utilizzando i numerosi appigli e le attrezzature incastonate nella roccia si guadagna quota abbastanza velocemente immersi in un ambiente aspro dal grande fascino. Superato questo tratto attrezzato il sentiero prosegue lungo uno spettacolare percorso in cresta fino alla cima del Foronon del Buinz (2531 mt.) dove si trova il bivacco Luca Vuerich. Sono le 10:30 e finalmente oltre ad aver raggiunto il bivacco vediamo i primi stambecchi della giornata; un gruppo di una decina di giovani individui ci osserva dall’alto, proprio a pochi metri dal bivacco. Eccolo lì il bivacco, una piccola costruzione in legno e metallo ancorata con quattro piloni alla roccia calcarea che forma le nostre Alpi, dentro otto posti letto con comodi materassi, coperte e generi di prima necessità. Noi ci sistemiamo all’esterno, su alcuni massi che sembrano fatti apposta per sedersi ed ammirare un panorama che può spaziare per 360 gradi. Verso sud si erge maestoso il gruppo del Kanin con il monte forato e le piste di Sella Nevea ben visibili. Un po’ più ad est riconosco il Triglav, lo Jalovec e il Mangart, verso nord lo Jof Fuart, lo Jof di Miezegnot e il santuario del Lussari, all’orizzonte si intravedono i 3000 austriaci con i loro ghiacci perenni. Ci fermiamo in cima per 45 minuti durante i quali scattiamo foto, mangiamo un panino e parliamo con gli altri escursionisti che pian piano raggiungono la cima. La nostra meta l’abbiamo raggiunta ed è ancora presto, sono le 11:10, cosa facciamo? La giornata è splendida e il sentiero che continua verso est ci sta chiamando. Ancora due parole con un stravagante escursionista sloveno appena arrivato dal Ceria Merlone e facciamo due conti; il caschetto c’è, l’imbrago è nello zaino, di tempo ne abbiamo, se non proseguiamo ora dovremmo tornare chissà quando. Ore 11:15 siamo di nuovo in marcia, scendiamo rapidamente verso sella del Buinz e con alcuni facili passaggi su cengia giungiamo proprio sotto la cima del Modeon del Buinz; ecco dove erano finiti! Proprio dietro un costone roccioso appaiono davanti a noi almeno una ventina di camosci adulti che sfidano le vertigini e si spostano da un masso all’altro. Dopo alcune foto ripatiamo e aggirata la cima scendiamo ripidamente a destra per un canalone ghiaioso con roccette molto instabili. Superiamo dei tratti attrezzati con lunghe funi fino a giungere a Forca de La Val (2352 mt.), dalla suggestiva forcella si risale qualche metro per imboccare una cengia che attraversa la parete sud della Cima de la Puartate. In questo tratto spettacolare si cammina in costante esposizione su di una serie di cenge attrezzate con cavi metallici. Uno dei cavi si è schiodato dall’ultimo fittone e poco dopo un altro risulta un po’ lasco poiché due fittoni sono usciti dalla roccia; con attenzione superiamo anche questi due punti e conclusa la cengia iniziamo a salire sul filo del crinale fino a portarci poco sotto a Punta Plagnis (2411 mt.). Superata Punta Plagnis il sentiero prosegue in leggera discesa fino alla Forcella Cregnedul (2340 mt.) che una volta attraversata ci porta nel versante nord-est di Punta Plagnis. Da questo punto inizia la discesa verso Lavinal dell’Orso prima su sentiero, poi su roccia con tratti attrezzati (questo a mio parere il tratto che più si avvicina ad una ferrata) ed infine su ghiaione. Alle 14:10 dopo tre ore di cenge, canalini, panorami mozzafiato ed esposizione abbiamo terminato il sentiero attrezzato Ceria Merlone. Soddisfatti per quanto fatto ci concediamo una pausa con un sorso di cordialino a forcella Lavinal dell’Orso (2138 mt.) e ripartiamo seguendo il CAI 626, che costeggia l’ampia vallata e ci porta fino al Passo degli Scalini (2022 mt.). Dal passo la strada è ancora lunga, prima raggiungiamo la Casera Cregnedul (1515 mt.) poi attraverso una pista forestale copriamo gli ultimi chilometri che ci separano dall’altopiano dove abbiamo lasciato la macchina. Sono le 16:00 e dopo otto ore di cammino ci meritiamo una bella birra fresca al rifugio Divisione Julia di Sella Nevea. Resoconto: Itinerario molto lungo, in grado di regalare scorci fantastici e passaggi emozionanti, alterna tratti attrezzati con cenge molto esposte da percorrere con estrema cautela. Casco obbligatorio per l’ambiente in cui ci si muove e per la massiccia presenza di stambecchi, imbrago consigliato soprattutto per chi non ha dimestichezza con il vuoto.
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Gennaio 2020
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